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Alle 4 di un mattino di venerdì le campane del monastero suonarono. Anche se a distanza, il loro suono si sentiva distintamente. Mi stiracchiai sul letto, cercando di svegliarmi del tutto. Accesi le due candele che erano sul comodino a fianco a me. Di fronte a me, prese corpo, nella penombra della cela, un’icona del Cristo. La guardai a lungo. Chi era quest’uomo così misterioso? Un uomo per il quale milioni di persone sono disposte a farsi uccidere, per amore? Come ha fatto a stregare tutte queste persone? Che cos’ha che gli altri non hanno? Perché lo amano? Che cosa ha fatto? Mentre mi interrogavo su di lui, rendendomi all’improvviso conto di non sapere quasi nulla di lui, sentii inequivocabile come una presenza. Non sono un tipo che cede a questo tipo di fantasie, le ho sempre combattute e deriso. Eppure, non so dire come, ma sentii che in quella camera non ero solo. E più questa sensazione si faceva forte più mi sentivo osservato da quell’icona. Mi alzai di colpo. “Devo aver dormito poco”, mi ricordo di essermi detto.
Mi preparai un caffè con un piccolo fornellino a gas che l’eremita mi aveva fatto recapitare dal monastero. Con la tazza nella mano uscii fuori dalla cella a godermi l’alba. C’era un silenzio indescrivibile. Credo che se mai esiste un modo per descrivere la parola “bellezza”, così chiara alla nostra mente eppure così sfuggente e indescrivibile, avrei detto “questo silenzio aurorale”. Nessuna donna mi ha mai dato questa sensazione così netta di bellezza, soprattutto nessuna di loro mi aveva permesso di vivere intimamente la propria bellezza. Qui, nel bel mezzo del deserto, mi veniva donato di vivere interiormente, intimamente, questi scampoli di infinito. In questi istanti di purezza mattutina, la mia mente mi sembrava come un bicchiere di acqua sporca che, dopo essere stata agitata da un fastidioso e rumoroso cucchiaino per anni, finalmente, arrestatosi il vortice, lasciava depositare le sue impurità sul fondo. Mi sembra di vederle, una a una, scaglie incrostate di male, cadere lentamente verso il basso. Rimasi in silenzio in questo modo per molto tempo. Poi sentii una voce provenire dalla cella dell’eremita. Mi feci attirare. Quando giunsi a poche decine di metri vidi l’eremita che girava nel cortile con in mano una Bibbia e ripeteva senza fermarsi qualcosa in arabo. Fui preso da un moto di pudore. Ritornai in cella e mi misi a dormire. Attorno alle 9 sentii una voce:
– Aghapi, fratello Joshua. Pace!
Aprii strofinandomi gli occhi per il sonno.
– Vieni fratello, vieni a vedere come si intrecciano croci di cuoio.
Ci sedemmo nel cortile della sua cella sotto le foglie di palma. L’aria iniziava a farsi calda ma le foglie di palma, poste come soffitto su un lato del cortile, offrivano un angolino fresco. L’eremita mi mostrò come lavorare e iniziai. Non abituato al lavoro manuale, all’inizio feci grande confusione. Lui, con molta pazienza, mi mostrò più volte come fare.
– Joshua, “ora noi siamo figli di Dio. E lo siamo davvero!”.
Non capivo che cosa volesse dire.
– Abuna, che cosa significa?
– “Ora noi siamo figli di Dio. E lo siamo davvero!”. Lo dice il beato Giovanni. Sì, Joshua ora siamo figli di Dio! Ora, ora, non ieri, non domani, ora e per sempre. Il tempo per noi è diventato un grande “ora”, un grande “ora”, in cui siamo figli di Dio, e lo siamo davvero! Con Cristo il nostro “ora” è un “ora” che buca lo spaziotempo. Viviamo un “ora” eterno, l’ “ora” del Regno.
– Era questo quello che cantavi stamattina in cella?
Non rispose.
– Scusami, sono stato indiscreto. Ritornando a quello che dici, che differenza fa ora, ieri o domani? Possiamo vivere senza affaticarci per il futuro, senza fare investimenti, senza comprare case, senza pensare alle future generazioni? Abuna, credi sia possibile?
– Cristo dice di non preoccuparsi del domani perché l’unica dimensione salvifica è l’ora. E questa salvezza consiste nell’essere figli di Dio. E lo siamo davvero perché lui lo è davvero! Gloria a te o Cristo!
– Abuna, stamattina mi è successo una cosa strana.
L’eremita fermò le mani che intrecciavano velocemente la croce. Mi guardò sorridendo, come se avesse il presentimento di sapere già che cosa gli avrei raccontato.
– Che cosa è successo? – riprese a intrecciare.
– Ero in cella. Verso le 4 mi sono svegliato al suono delle campane. Di fronte a me avevo l’icona del Cristo. Aveva un aspetto ieratico e allo stesso tempo tenero, materno. L’ho fissato a lungo. Poi ho sentito come se ci fosse una presenza nella stanza. Una presenza piacevole, discreta, non certo indisciplinata come la mia – sorrisi. – Non appena ho percepito questo mi è sembrato che non fossi io a guardare l’icona ma che fosse invece l’icona a guardare me. Ho avuto un’allucinazione? Chi è Cristo, abuna?
Si fermò di nuovo. Alzò gli occhi al cielo. Gli divennero lucidi, come se stesse per parlare della cosa più meravigliosa dell’esistenza, l’unico motivo che lo teneva in vita.
– Cristo è il mistero dal quale tutto è venuto all’esistenza e dal quale tutto dipende. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui. Cristo è l’Emmanuele, il Dio-con-noi. È il Dio che si è fatto uomo, è l’icona visibile del Dio invisibile. Chi vive in lui, vive nel Dio inaccessibile e incomprensibile. Chi ha visto lui ha visto il Padre. Chi conosce lui, conosce la somiglianza perfetta con Dio che ogni uomo è chiamato a raggiungere. Chi conosce lui ha accesso a Dio e può trasformarsi secondo la sua somiglianza. Soltanto attraverso Cristo noi sappiamo con esattezza chi è Dio: Dio è amore, e non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici.
– Abuna, mi sembra un parlare filosofico, ho studiato filosofia all’università e mi sembra uno di quei libri di Platone che descrivono il mondo delle idee. A noi che ce ne viene?
Se qualcuno mi avesse detto una frase simile su una mia convinzione personale, credo che avrei reagito malissimo, probabilmente mettendo quella persona al primo posto della mia, lunga e spietata, black list. E invece l’eremita rimase serafico come se la mia obiezione non avesse scalfito di nulla una fede profonda come l’oceano.
– Joshua, quando dico “amici” intendo noi, io e te. Siamo noi i suoi “amici”, così ha detto il Signore. Tu dici: che ce ne viene? È tutta filosofia! Ma il Risorto non solo ci dice chi è Dio ma ci dice anche chi siamo noi. Fratello, tu chi sei? Te lo sei mai veramente chiesto? Un ammasso di cellule? Un treno in corsa che ha come ultima stazione la morte? Una foglia dispersa dal vento? Un vapore che appare per un po’ di tempo, e poi svanisce? Sì, siamo questo. Ma molto più di questo. Vuoi sapere che cosa sei davvero? Guarda a Cristo e saprai chi sei: una creatura che è amata di un amore indescrivibile ed eterno, nonostante sia fallibile e peccatrice. Joshua, egli mi ha amato e ha consegnato se stesso per me. Egli ti ha amato e ha consegnato se stesso per te. Questo è il senso dell’esistenza, questo è tutto ciò che ogni uomo su questa terra cerca e desidera con tutto il cuore: essere amato di un amore gratuito, salvifico, capace perfino di salire sul patibolo per lui. L’uomo vuole sapere con certezza di non essere il risultato di un destino crudele, il prodotto di un caos impersonale, il parto di un cielo vuoto. Cerchiamo di riempire questo vuoto d’amore in tutti i modi, in particolar modo con la carriera. Ma non c’è carriera nel cristianesimo! L’unica carriera è il passaggio dalla morte alla vita, dalla perdizione alla salvezza. Il resto è solo crescita…
Sentii montare il pianto. Inarrestabile come un fiume in piena che sta per spaccare una diga. Gli occhi mi si fecero lucidi. L’eremita smise di parlare e si commosse anche lui. Sembrava che in quel momento tutto quell’amore di cui lui parlava trasudasse da quegli occhi neri. Sentii di nuovo la presenza dell’alba, sembrava avvolgerci, stavolta tutti e due. Che mistero mai teneva insieme Cristo e l’amore? Cristo poteva davvero spiegare l’insensato destino dell’uomo? L’eremita aveva ragione: tutto quello che avevo fatto nella vita non era che una disperata ricerca di un amore puro e gratuito. E ogni male inflitto agli altri da parte mia nasceva in me dall’incapacità di trovare quest’amore puro e gratuito in loro. Nel momento in cui constatavo l’impossibilità di ricevere amore gratuito, cercavo di rendermi superiore agli altri in tutti i modi possibili per guadagnarmi il loro interesse e il loro amore, oppure, nei momenti peggiori, credevo di uccidere in me stesso ogni inconscio afflato d’amore, impugnando il pugnale della sottomissione e della schiavitù, come se fosse mio diritto prendermi a forza ciò che gli altri non volevano darmi gratuitamente. Ero un pozzo nero, ero pieno di male. Ed era la prima volta che questi pensieri venivano a galla così chiaramente nel mio conscio. Resistetti un po’. Ma dopo un paio di singhiozzi trattenuti a stento, piansi senza provare alcuna vergogna. Quelle parole mi attraversavano come una spada che fende un cuore malato. Anche l’eremita pianse, silenziosamente, come se stesse provando esattamente la stessa cosa che provavo io. Quel momento sembrava non finisse mai, speravo non finisse mai. Le lacrime mi diedero pace. Avevo finalmente messo allo scoperto la mia parte vulnerabile che avevo sempre nascosto nel potere, nel denaro, nel dominio sulle donne. Ma accesero in me anche il desiderio di provare quest’amore di Dio di cui mi parlava l’eremita. Che cosa dovevo fare per averlo? Gli dissi, strofinandomi gli occhi con un fazzoletto di stoffa:
– Perché figli e amici? Che cosa significa, abuna? Perché siamo figli, perché ci chiama amici? Non è un Dio trascendente che domina sulla sua creazione con la forza?
– Joshua, la relazione che Dio ha nei nostri confronti è una relazione di amore perfetto, di estrema cura e attenzione, di tenera paternità. È un’amicizia sincera, una guida fedele, una relazione nella quale il Signore, nella sua infinita umiltà, si mette sullo stesso piano del servo. Anzi, si piega a lavargli i piedi. Che grande mistero è il mistero di Cristo, fratello. Non basterà l’eternità a comprendere la sua mitezza e la sua umiltà di cuore. Ci supererà sempre, nella sua meravigliosa e commovente bellezza.
– Come fai a dire che Dio ha cura degli uomini? Il mondo è in uno stato pietoso, gli uomini si odiano, abuna, si fanno la guerra gli uni con gli altri, e vivono con il motto “mors tua, vita mea”! Dov’è Dio in questo mondo?
– Il motto di Cristo è “mors mea, vita tua”! Ecco il paradosso cristiano! “Io muoio per te, perché tu possa avere una vita piena in me”. Joshua, Dio ha una cura estrema per gli uomini. Ogni singola creatura gli interessa. A maggior ragione gli uomini, creati a sua immagine e somiglianza. Ma l’amore negherebbe se stesso se si imponesse con la forza o se cercasse di attirarci con l’inganno. È per questo che la misura perfetta dell’amore è la croce: donazione totale e gratuita di se stessi, priva della pretesa umana di essere ricambiati, canto silenzioso e straziante dell’amante che attende l’amato. È da lì che Dio ci attira: quando fu innalzato, attirò tutti a sé. Dopo aver fatto un primo passo, dopo essersi messo in gioco totalmente, dandoci nella sua venuta sulla terra tutto se stesso, Dio attende da noi un gesto, un invito. Resta sulla porta e bussa come un viandante. Aspetta che lo invitiamo a entrare, anche se nella disperazione.
Le parole dell’eremita fecero breccia come un raggio di luce in una catapecchia abbandonata. Tutta la polvere accumulata in anni di incuria volava da una parte all’altra della stanza come fiocchi di neve in un souvenir di Venezia. Quando finì di parlare tirò un respiro profondo. Il sole era alto nel cielo e rischiarava tutto il wadi. “Upi”, la mia amica upupa, gironzolava attorno all’eremo beccando dei semi di girasole che il monaco aveva sparso appositamente per lei. Non avevo mai provato una pace così gioiosa e luminosa. L’eremita mi disse guardando l’orologio:
– Oh, abbiamo parlato così tanto che ci siamo dimenticati del tempo. Ti preparo il pranzo.
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grazie!…bellissimo
Mi ha “contaggiato” d’Amore.
Come se lo stesse dicendo a ciascuno…
Queste pagine trasmettono il fuoco della parola di Dio.
Siamo contenti ti sia piaciuto cara Pia! Continua a seguire Joshua, ci sono altre pagine molto belle.