Affronta apertamente, con queste parole, il discorso della incarnazione. Spiega infatti chiaramente che l’Unigenito è divenuto, ed è chiamato, Figlio dell’uomo. Questo è il significato della frase: “Il Logos si è fatto carne”. È lo stesso come se avesse detto: È diventato uomo. Quella affermazione non presenta nulla di strano o d’insolito giacché molte volte la sacra Scrittura con il termine della sola carne, vuole parlare di tutto l’animale come, per esempio, in quella frase che leggiamo nel profeta Gioele: “Riverserò il mio spirito su ogni carne” (Gio 3,1). Non dobbiamo credere che, secondo il Profeta, il divino Spirito sarà riversato sulla sola e inanimata carne: questa interpretazione sarebbe semplicemente ridicola. Ma, indicando con la parte il tutto, col vocabolo carne il Profeta vuole indicare l’uomo. E non potrebbe essere altrimenti. È bene spiegare, mi pare, per quale motivo sia così.
L’uomo è certamente un animale razionale ma composto, composto cioè di anima e di questa carne fragile e terrena. Essendo stato creato da Dio e portato alla luce, non avendo, per sua natura, la qualità di essere incorruttibile e immortale (queste qualità appartengono, per natura, solo a Dio), ebbe l’impronta della vita dello Spirito, conseguendo da parte di Dio, il bene che supera la natura: “Soffiò – dice – sul suo volto un alito di vita, e così l’uomo divenne un essere vivente” (Gen 2,7).
Quando poi per il suo peccato fu punito, l’uomo si sentì giustamente dire: “Sei terra, e nella terra ritornerai” (Gen 3,19), fu privato della grazia, e dalla sua carne si allontanò l’alito di vita, ossia lo Spirito di colui che dice: “Io sono la vita” (Gv 14,6). Così egli, che era vivente, cadde nella morte per la sola carne, ma l’anima conservò l’immortalità, giacché alla sola carne fu detto: “Sei terra, e nella terra ritornerai”. Era necessario, dunque, che fosse salvato al più presto e fosse richiamato all’immortalità, mediante l’unione alla vera vita, ciò che nell’uomo era maggiormente esposto al pericolo. Occorreva che ciò che era malato fosse liberato dalla malattia. Occorreva, insomma, che si annullasse il senso di quelle parole: “Sei terra, e nella terra ritornerai”, attraverso cioè l’unione ineffabile del Logos, che tutto vivifica, con il corpo che era caduto in disgrazia. Era conveniente cioè che la carne, una volta che fosse diventata del Logos, divenisse partecipe della sua immortalità.
Sarebbe assurdo che il fuoco possa comunicare alla materia la qualità della sua potenza naturale, e quasi, in un certo senso, trasformare in se stesso quella in cui è per partecipazione, e che invece il Logos, il quale è al di sopra di tutto, non possa dare alla carne il suo proprio e naturale bene, cioè la vita.
Per questo motivo, penso, il santo evangelista ha detto, riferendosi soprattutto alla parte animale, che il Logos di Dio si è fatto carne. In questo modo stavano assieme la ferita e la medicina, il malato e il medico, ciò che è caduto nella morte e colui che l’ha portato alla vita, ciò che è soggiaciuto alla corruzione e chi allontana la corruzione, ciò che è stato vinto dalla morte e il vincitore della morte, chi è stato privato della vita e chi dà la vita. Non dice poi che il Logos è venuto alla carne, ma che è diventato carne, perché tu non abbia a sospettare che egli sia solamente apparso come apparve ai profeti o ad altri santi: egli, invece, si è fatto veramente carne, cioè uomo. Così abbiamo detto prima.
Perciò egli [il Logos] è anche Dio, per natura, nella carne e con la carne, perché egli aveva la sua propria carne; e tuttavia deve ritenersi qualcosa di diverso da essa e in essa, e deve essere adorato con essa, secondo quando dice Isaia: “Uomini alti passeranno a te e saranno tuoi servi; dietro di te verranno in catene, e ti adoreranno e ti diranno supplichevoli: In te è Dio, e non c’è altro Dio al di fuori di te” (Is 45,14).
Ecco, dicono, anche in lui c’è Dio, e non separano la carne dal Logos. E, di nuovo, confermano che non vi è altro Dio al di fuori di lui, unendo al Logos il mezzo che lo porta, come suo proprio, cioè il tempio nato dalla Vergine: Cristo è, infatti, uno solo formato da tutti e due, dal Logos e dalla carne.
E ha posto la tenda in noi
L’evangelista spiega utilmente ciò che è stato detto, ed espone più chiaramente il suo insegnamento. Avendo detto che il Logos si è fatto carne, affinché qualcuno, per la sua forte ignoranza, non sospettasse che egli aveva lasciato la sua propria natura, e si era trasformato realmente in carne, e che soffriva ciò che assolutamente non può soffrire (Dio è, infatti, in ragione della sua natura, ben lontano da qualsiasi trasformazione e cambiamento), giustamente il Teologo aggiunge subito: “E ha posto la tenda in noi”.
Riferendosi infatti a due cose significate, cioè a colui che abita e a ciò in cui si abita, puoi di qui capire che egli non si è trasformato in carne, ma piuttosto abita nella carne, come colui che usa del proprio corpo, cioè di quel tempio che è nato dalla santa Vergine: “In lui, infatti, abita corporalmente tutta la pienezza della divinità”, come dice Paolo (Col 2,9). Che anzi, egli afferma utilmente che il Logos abita anche in noi, svelandoci anche questo sublime mistero. Tutti, infatti, siamo in Cristo, e la comune natura umana fruisce della sua vita in lui.
Infatti, per questo è stato chiamato anche nuovissimo Adamo, perché, con la partecipazione della natura, arricchisce tutti verso la felicità e la gloria, mentre il primo Adamo, invece, trasmise la corruzione e l’ignominia (cf. 1Cor 15,45-49). Così il Logos ha posto la tenda in noi per mezzo di un solo corpo, affinché, essendosi rivelato un solo Figlio di Dio nella potenza, la sua dignità si riversasse, secondo lo Spirito di santità, in tutta l’umanità, e così, per mezzo di uno di noi, raggiungessimo anche noi quelle parole: “Divini voi siete, e figli dell’Altissimo voi tutti” (Sal 82,6).
Dunque, in Cristo la natura serva diviene realmente libera, elevata alla unione mistica con lui che porta l’aspetto di servo. In noi invece è per somiglianza di lui, a causa della parentela della carne. Altrimenti, perché non assunse la natura degli angeli, ma quella della stirpe di Abramo, per cui sarebbe stato assimilato in tutto ai fratelli (cf. Eb 2,16-17), e sarebbe diventato veramente uomo?
Non è forse chiaro a tutti che si abbassò alla natura di servo, non ricavando da questa condizione nessun vantaggio, ma diede se stesso a noi perché fossimo arricchiti per mezzo della sua povertà (cf. 2Cor 8,9) e, elevandoci mediante la somiglianza con lui, al suo proprio e ineffabile bene, diventassimo, per mezzo della fede, dèi e figli di Dio?
Ha posto la tenda, infatti, in noi colui che, per natura, è Figlio e Dio. Perciò, nello Spirito di lui gridiamo: “Abbà, Padre!” (Rm 8,15). Il Logos abita in tutti, in un tempio cioè che assunse per noi e da noi, affinché, avendoci tutti in se stesso, riconciliasse tutti in un solo corpo, come dice Paolo (cf. Ef 2,16).
Cirillo di Alessandria
Commento a Giovanni I, IX, ed. Città nuova, pp. 154-158
(con qualche modifica sostanziale, sulla base di una revisione sul testo greco)