Accanto alla parola di Dio e alla tradizione dei padri del deserto, in una fedeltà che si consolida e si rinnova giorno dopo giorno, c’è la figura del padre spirituale. Ancora oggi, benché provato dagli anni e dalla salute e costretto a vivere a una certa distanza dal monastero, Matta el Meskin non cessa di esercitare la sua paternità sull’intera comunità e sui singoli monaci. La sua giornata è scandita – come agli inizi del suo cammino monastico – tra preghiera e stesura di commentari biblici e testi spirituali, che vengono poi letti in comunità, ma sovente trascorre ore in ascolto di quanti cercano da lui quella parola di vita che non cessa di rinviarli a Cristo: lo si può vedere allora verso sera seduto sulla soglia della sua cella, mentre un altro monaco e seduto ai suoi piedi e un terzo, un quarto aspettano a una certa distanza.
L’unica regola per i monaci, infatti, e l’amore di Gesù crocifisso ed e questo spirito di amore che anima tutto. La funzione del padre spirituale è di discernere con chiarezza come ognuno dei suoi figli deve concretamente realizzarla. Egli è la regola vivente, che si adatta a ogni vocazione, che si rinnova costantemente e che percorre con ognuno dei suoi figli la strada verso Dio. Perciò il padre si ritira spesso: perché egli stesso deve vivere nello Spirito e rinnovarsi nello Spirito, affinché questi possa operare per mezzo di lui: non e infatti il padre spirituale che introduce i suoi figli nell’intimità di Dio, ma solo lo Spirito.
Il caro Wadid, il monaco che ci ha accolto con gioia già in occasione della nostra prima visita a San Macario e che da allora e rimasto legato a noi con la vicinanza e l’affetto di un fratello, ci disse: ”Abuna Matta si affida al Signore, perché tramandi ai suoi figli l’esperienza interiore del loro padre. Anche loro devono vivere nella libertà dello Spirito, perché dove è lo Spirito del Signore, là e la libertà (2Cor 3, I7). Questa libertà dei figli di Dio è la guida della nostra vita, e non un certo numero di regole fisse o di principi prestabiliti. E’ l’esperienza ci ha insegnato che questa vita interiore mossa dallo Spirito e sempre conforme alla dottrina dei padri del deserto e alla tradizione patristica e monastica”.
In questo modo la funzione del padre spirituale e nello stesso tempo discreta e di importanza vitale, perche egli è guidato dallo Spirito. Ricco della sua esperienza di cinquant’anni nel deserto, Abuna Matta aiuta ognuno dei suoi figli a riconoscere qual è la volonta di Dio su ciascuno. Egli e molto attento a non imporre la propria personalità agli altri, e nello stesso tempo ha cura che ognuno possa svilupparsi secondo la propria vocazione, in modo da essere guidato unicamente dalla luce interna dello Spirito. Questa diversità favorisce un’unitù più profonda: la condizione per questa unità e l’apertura e la fiducia di ciascun membro della comunita nel padre spirituale. Ciò suppone che il figlio apra il suo cuore al padre, ma anche che il padre parli al figlio con franchezza. Soltanto così si può trasmettere un’esperienza spirituale.
Il padre mette solo una condizione per chi vuole entrare nel monastero: “che abbia sentito almeno una volta battere il proprio cuore per amore di Dio”, o, come dice egli stesso: “Non metto nessuna condizione a chi vuol entrare nel monastero, chiedo semplicemente: ‘Ami il Signore?’, e se mi risponde: Sì, gli porgo un’altra domanda, più importante: ‘E senti che Gesù ti ama?’. Se anche a questa mi risponde: ‘Sì’, allora va bene perché è l’amore del Signore che ci ha uniti e che conduce giorno per giorno la nostra vita: l’ unico scopo della nostra vita è di sottometterci sempre alla volontà di Dio per amore verso di lui. La volontà di Dio la conosciamo attraverso la sacra Scrittura; la nostra occupazione principale e quindi di nutrirci della parola di Dio, sia dell’Antico che del Nuovo Testamento”. Questa è la strada che egli stesso ha percorso: la chiamata di Dio, alla quale ha risposto incondizionatamente “Sì”, e la fame del Pane vivente di Dio.
E. Bianchi, prefazione a Matta al-Miskin, Comunione nell’amore, Qiqajon, pp. 11-13