Lunedì 29 luglio il Monastero di San Macario il Grande celebrerà la memoria annuale del beato vescovo e abate anba Epiphanius (1954-2018) alla presenza del papa Tawadros II. Il monastero resterà chiuso agli ospiti per permettere ai monaci il raccoglimento e la preghiera. Oggi, venerdì 26 luglio, il monastero ha aperto le porte ai laici per condividere con la comunità il ricordo di questo grande martire.
Il 29 luglio 2018, mentre usciva dalla sua cella e si recava nella Chiesa di San Macario per presiedere la divina liturgia domenicale, il santo abate veniva brutalmente ucciso. La sua morte, improvvisa e violenta, ha sconvolto tutti. Anba Epiphanius era un uomo di profonda spiritualità e di rara umiltà. Il suo sorriso mite e le sue parole ricche di sapienza hanno donato pace e consolazione a tantissime persone in tutto il mondo.
Tenace riformatore del monachesimo e instancabile creatore di ponti di unità tra le Chiese cristiane, è stato uno studioso di testi biblici, liturgici e patristici, stimato a livello internazionale. Ha pubblicato numerosi volumi che hanno arricchito la biblioteca cristiana in lingua araba. Ricordiamo, in particolare, la prima edizione scientifica del Bustān al-Ruhbān (“Il Giardino dei monaci”, collezione copto-araba degli apoftegmi dei Padri del deserto), le traduzioni dal greco in arabo di alcuni libri della Bibbia dei Settanta, la traduzione dal greco in arabo dei testi delle tre anafore usate attualmente nella Chiesa copta, oltre alle edizioni di numerosi testi eucologici e teologici della tradizione arabo-cristiana.
In lingua italiana, di anba Epiphanius abbiamo per ora un’antologia di meditazioni bibliche dal titolo “Una salvezza così grande”, pubblicata dalla San Macario Edizioni e disponibile su Amazon a quest’indirizzo: https://www.amazon.it/Una-salvezza-cos%C3%AC-grande-contemporaneo/dp/1732985219/ . È da questo libro traiamo il brano che segue.
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Nella Lettera ai Filippesi (3,5-6) San Paolo elenca i suoi vanti e l’eredità che si porta alle spalle. In teoria, queste cose non possono “perdersi” come si perdono delle merci in mare, ad esempio. Ma Paolo sapeva che queste cose avevano “perduto” il loro valore: tutto ciò che egli riteneva caro, prezioso e di valore non valeva ormai più nulla di fronte alla grandezza della “conoscenza di Cristo”. L’Apostolo Paolo confermò questo nuovo atteggiamento con il suo comportamento e con il suo servizio. Come disse il Signore Gesù: “Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,21). Paolo, infatti, aveva trovato il suo tesoro prezioso nella “conoscenza di Cristo”. Da quel momento tutto ciò che aveva valore era “in Cristo”, e non nei vanti e nelle cose ereditate.
Pare che gli oppositori di Paolo, per affermare la loro idoneità a guidare la comunità, avessero indicato, nei curricula che avevano presentato alla Chiesa di Filippi, la loro appartenenza giudaica. È a questo punto che Paolo affermò che, se altri avevano presentato il conto delle loro credenziali, toccava anche a lui offrire le proprie, dalle quali sarebbe stato palese la sua superiorità rispetto agli altri. Tra i “crediti” che vantava, egli ricordava quanto segue:
1. Circonciso all’età di otto giorni: ovvero giudeo purosangue che preserva la promessa fatta ad Abramo, padre dei patriarchi.
2. Della stirpe d’Israele: ovvero membro della comunità che possiede le promesse, i patti e la legislazione.
3. Della tribù di Beniamino: tribù che godeva di buona reputazione, dalla quale era uscito il primo re di Israele.
4. Ebreo figlio di ebrei: ovvero le sue origini risalivano ad Abramo, il primo a essere chiamato “ebreo” (cf. Gn 14,13).
5. Quanto alla Legge, fariseo: cioè appartenente alla fazione che si era dedicata completamente allo studio e alla memorizzazione della Legge di Dio.
6. Zelota: tanto da perseguitare la Chiesa primitiva a Gerusalemme perché, seguendo l’insegnamento di Cristo, aveva deviato dall’insegnamento mosaico.
7. Legalmente giusto: agli occhi di se stesso era irreprensibile davanti alla Legge.
Eppure, quando l’Apostolo Paolo ha posto queste credenziali davanti alla grandezza della “conoscenza di Cristo”, ha percepito che esse erano come tanta spazzatura. Queste credenziali, queste realizzazioni non avevano più per lui lo stesso valore di prima. Egli non solo non lottò più per loro, ma non le sfruttò più per il proprio tornaconto. Anzi, accettò con gioia che fossero cancellate dal proprio conto personale. Paolo aveva ormai trovato la perla di grande valore, per questo andò, vendette tutti i suoi averi e la comprò (cf. Mt 13,46).
L’essere umano cerca di investire il proprio denaro tramite le banche o le società di investimento comprando azioni o obbligazioni. Quando il valore delle azioni crolla, crollano anche gli interessi che se ne ricavano. Se il valore delle azioni crolla, non vuol dire che l’azionista perda le azioni di per sé. Al contrario, continua a esserne il titolare. È soltanto il loro valore a mutare. Così anche per Paolo. Paolo possedeva ancora le sue credenziali giudaiche ma ormai, paragonate con la perla preziosa che aveva acquisito, le considerava come un pessimo affare.
Possiamo elencare di nuovo i precedenti “titoli azionari” di Paolo, ma con un linguaggio moderno. Paolo apparteneva a una famiglia illustre con un’ottima reputazione, aveva svariati dottorati, conosceva perfettamente numerose lingue straniere e aveva una certa credibilità nella società e negli ambienti internazionali. Inoltre, si considerava ed era considerato da tutti l’uomo della giustizia e della pietà, autore di grandi opere. Eppure, messe a paragone questa eredità e queste realizzazioni con la conoscenza di Cristo, si rese conto che tutte erano da considerarsi come spazzatura, svuotate per lui di qualsiasi valore. Quando il valore di queste credenziali era crollato, Paolo si mise a commerciare in un altro ambito che potesse portargli un profitto migliore: questo ambito era la conoscenza di Cristo. Con “conoscenza di Cristo” non si deve intendere una conoscenza razionale che si ricava dai libri e dalle conferenze ma una conoscenza esperienziale che egli deriva da anni di intimità e di colloqui con Dio. Si tratta della conoscenza che fece dire a Paolo con fermezza: “Perché io possa conoscere lui, la potenza della sua Resurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla Resurrezione dai morti” (Fil 3,10-11). Ponendo tutta la sua vita precedente su un piatto della bilancia, Paolo si rese conto che non pesava niente e per questo la considerò spazzatura. Poi pose sull’altro piatto la conoscenza di Cristo e vide che equivaleva alla vita eterna stessa: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17,3). Per questo Paolo fu estremamente sapiente quando disse: “Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso” (1Cor 2,2).
Il Signore Gesù pregò perché i suoi discepoli conoscessero Dio; conoscenza, anche qui, non razionale ma vissuta, mediante la quale il Signore Gesù abita nei nostri cuori: “E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro” (Gv 17,26).
C’è un importante strumento di misura che ci permette di sapere se abbiamo conosciuto veramente Dio e non solo con la ragione. Ce lo indica l’Apostolo Giovanni in una sola parola: l’amore, l’amore per Dio e l’amore per il prossimo:
Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: “Lo conosco”, e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è la verità. Chi invece osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente perfetto. Da questo conosciamo di essere in lui (1Gv 2,3-5).
Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore (1Gv 4,7-8).
Da buon fabbricante di tende, l’Apostolo Paolo conosceva bene il valore del suo lavoro e del denaro che doveva investire in esso per trarre profitto. Aveva capito che le sue origini, che sfruttava a proprio vantaggio, non avevano un valore stabile. Le sue antiche origini erano ormai diventate spazzatura, mentre le sue nuove radici avevano un enorme, immutabile valore. Queste nuove radici affondavano nella “sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore” (Fil 3,8).
San Gregorio Teologo sintetizza tutte queste cose parlando delle origini antiche e paragonandole alla conoscenza di Cristo e ai beni divini che quest’ultima attira in noi:
Che cos’è mai questo nuovo mistero che mi riguarda? Sono piccolo e grande, umile e nobile, mortale e immortale, terreno e divino. Condivido quelle cose con il mondo inferiore, mentre queste ultime con Dio; quelle con la carne, queste con lo spirito. Bisogna che io sia seppellito con Cristo, risorga con Cristo, erediti insieme con Cristo, diventi figlio di Dio, anzi Dio stesso […] Questo è ciò che il grande mistero vuole per noi. Questo è ciò che Dio vuole per noi, il quale per noi si fece uomo e divenne povero, per far risorgere la nostra carne, restaurare la sua immagine e rimodellare l’uomo, così che noi tutti potessimo essere resi una sola cosa in Cristo, il quale fu reso perfettamente in tutti tutto ciò che egli stesso è, così che potessimo non essere più maschio e femmina, barbaro, scita, schiavo, libero (cose che sono marchi della carne), ma potessimo portare in noi soltanto il marchio[1] di Dio, per mezzo del quale e in vista del quale siamo venuti all’esistenza. Da lui anche abbiamo ricevuto la forma e il modello, così che soltanto per mezzo di lui noi siamo riconoscibili[2].
Prima di conoscere Cristo, le nostre caratteristiche erano numerose:
eravamo liberi, schiavi, maschi, femmine, giudei, pagani, ricchi, poveri,
istruiti, analfabeti. Ma dopo aver conosciuto Cristo Gesù nostro Signore, tutte
queste cose sono diventate di un’importanza secondaria perché ci siamo uniti
con la fonte della vera ricchezza, noi che diventeremo come lui perché lo
vedremo come egli è (cf. 1Gv 3,2).
[1] In greco appare il ricco termine charaktḗr ‘marchio, timbro, carattere, immagine, segno particolare’, N.d.T.
[2] Gregorio Nazianzeno, Funebris in laudem Caesarii fratris oratio, VII, 22 (PG61,785bc). Traduzione sull’originale greco, N.d.T.
Anba Epiphanius
Anba Epiphanius, Una salvezza così grande, San Macario Edizioni 2019, pp. 248-253