Un volto radioso, un sorriso benigno, parole confortanti che mettono a proprio agio l’interlocutore. Ecco l’idea che ci viene in mente quando facciamo il nome di anba Epiphanius.
Nato il 27 giugno 1954 a Tanta, Egitto, il giovane Tadros Zaki Tadros ha portato a termine i suoi studi alla Facoltà di Medicina nel 1978. È entrato al Monastero di San Macario il 17 febbraio 1984 ed è stato ordinato monaco il giorno di Sabato della Luce (Sabato Santo), 21 aprile 1984, ricevendo il nome di Epiphanius. Ben presto, grazie alle sue numerose qualità, gli è stato chiesto di ricoprire diverse cariche importanti del monastero: la sua grande devozione, la sua disponibilità e la sua affabilità hanno fatto di lui il miglior candidato per curare e servire i malati, non solamente all’interno delle mura del monastero, ma soprattutto quando si rendeva necessario uscire. È così che è stato scelto nel 1997 per accompagnare il suo padre spirituale, padre Matta el Meskin, durante il suo viaggio negli Stati Uniti per un’operazione al cuore, poi padre Yuhanna in Germania nel 2002, e infine i padri Lukas e Panaghias, sempre in Germania, nel 2008, per delle cure antitumorali. Tornato in Egitto, ha continuato a curare questi ultimi due monaci con grandissima devozione fino al momento del loro passaggio all’altra vita.
Le sue straordinarie doti intellettuali sono state notate dal suo padre spirituale, padre Matta el Meskin, fin dalla sua entrata in monastero. Mentre era ancora novizio lo ha incoraggiato a studiare i Padri e la Tradizione della Chiesa e gli ha procurato i libri necessari. L’amore del giovane monaco per la Scrittura e la Tradizione facevano sì che si immergesse per delle ore nella lettura della patristica, della letteratura monastica antica e degli studi liturgici. Gli è stata, perciò, affidata la cura della biblioteca del monastero che gli è debitrice della maggior parte della catalogazione elettronica.
Inoltre, la sua precisione e la sua grande capacità di lavorare lo rendevano il più indicato a occuparsi della contabilità del monastero. A partire dagli inizi degli anni Novanta fino alla fine della sua vita, si è speso totalmente per questo compito piuttosto ingrato. Questa stessa meticolosità lo ha candidato al lavoro di revisione delle bozze della tipografia del monastero. Lavorando alla casa editrice ha potuto anche contribuire, come autore, alla rivista del monastero Saint Mark.
Nel 2002, quando i monaci incaricati di celebrare la liturgia cominciavano a invecchiare, padre Matta el Meskin, allo scopo di alleviare il carico dei monaci anziani, ha scelto alcuni monaci per essere ordinati presbiteri. Tra questi vi era padre Epiphanius. Sebbene avesse chiesto in lacrime di esserne esentato perché indegno, il monaco Epiphanius ha dovuto, per obbedienza, sottoporsi a questa ordinazione. Da allora, a causa della sua semplicità e della sua spiritualità, su di lui e su padre Panaghias cadeva la scelta per concelebrare con il nostro igumeno di allora, padre Kyrillos, in occasione delle grandi feste e della gran parte delle domeniche dell’anno. Alla fine di ogni celebrazione, padre Panaghias, per allontanare qualsiasi sentimento di vanagloria, scappava nella stalla per mungere le vacche. Allo stesso modo, padre Epiphanius si esercitava a offrire i suoi servizi ai più umili e a chiunque ne avesse bisogno.
In quanto bibliotecario, ha avuto l’occasione di incontrare numerose personalità di passaggio in monastero. Tutti ne hanno potuto saggiare l’affabilità, la disponibilità e l’apertura che si esprimevano con il suo accogliente inimitabile sorriso. Ha scritto di lui il coptologo padre Philippe Luisier: “L’avevo incontrato quando era bibliotecario, poi l’ho rivisto quando è diventato abate e vescovo. Era sempre uguale a se stesso, con questo sorriso che è soltanto suo”.
Coloro che hanno avuto l’occasione di parlare con lui hanno potuto misurare anche l’ampiezza della sua cultura che, tuttavia, non gli impediva di considerarsi sempre come una persona alle prime armi. Una volta, invitato a un convegno, gli fu chiesto di fare uno degli interventi inaugurali. Si mise, allora, a sedere sulla pedana insieme alle altre illustri personalità invitate per l’occasione. Il giorno dopo, però, gli organizzatori lo videro seduto in fondo alla sala, tra gli uditori. Quando gli fu chiesto di riprendere il proprio posto in pedana, rispose così: “Ieri, ero un conferenziere. Oggi, vengo per imparare”.
Nel 2013, in seguito a un sondaggio condotto su iniziativa di papa Tawadros II, è stato votato dalla maggioranza dei monaci per diventare superiore del monastero e, per questo scopo, è stato ordinato vescovo dal patriarca. Ma è sempre “rimasto uguale a se stesso”. Non ha mai accettato che gli si facessero le metanie[2] e a coloro che insistevano diceva: “Se ti prosterni davanti a me, farò lo stesso con te!”. Alla liturgia, chiedeva che non fossero intonati in suo onore gli inni propri del vescovo. Non si è mai seduto sul seggio episcopale (che, tra l’altro, in monastero, non era che una semplice poltrona) ma si sedeva a terra come gli altri monaci. Si rifiutava di indossare gli abiti liturgici propri del vescovo, accontentandosi di una semplice tunica bianca come gli altri celebranti. A chi gli chiedeva il perché di una tale scelta rispondeva: “Questi abiti ornati sono per i vescovi diocesani. In monastero, dobbiamo conservare la nostra semplicità monastica”. Per le liturgie nelle quali doveva ungere l’assemblea (come, ad esempio, il venerdì della fine della Quaresima e il Sabato della Luce), non aspettava che i fedeli andassero da lui, ma era lui che, prendendo l’ampolla d’olio, passava tra le fila e ungeva ognuno al proprio posto. Davvero ha incarnato per noi Colui che ha detto ai suoi discepoli: “Io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22,27). Egli riteneva che il suo compito principale in quanto vescovo fosse presiedere alla liturgia domenicale e distribuire alla sua comunità il Corpo del Signore. Per lui, era così che poteva contribuire al meglio a realizzare lo scopo finale della creazione: “Ricondurre a Cristo, unico capo, tutte le cose” (Ef 1,10). Perciò, non mancava mai alla liturgia domenicale, a meno che fosse obbligato per un viaggio o una malattia, e incoraggiava i suoi monaci a fare lo stesso. In questo è stato un degno successore dei vescovi dei primi secoli, di Ignazio, Cipriano, Ireneo, Pietro di Alessandria. E come loro ha concluso la sua vita con il martirio.
[2] Prostrazioni per chiedere la benedizione, N.d.T.
tratto dalla presentazione di padre Wadid el Macari al libro
“Una salvezza così grande” di anba Epiphanius
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