Tra tutti i numerosi strumenti spirituali, nella nostra vista spirituale ed ecclesiale, il digiuno occupa un posto importante. Esso è uno dei pilatri fondamentali che esprimono, di fronte a Dio, la nostra umiltà, la nostra speranza e il nostro amore. I digiuni nella nostra Chiesa si estendono per più di metà dell’anno. Digiuniamo, infatti, comunitariamente in momenti particolari dell’anno, non mangiando per un certo tempo e astenendoci dai cibi di origine animale, cercando di imitare lo stato paradisiaco vissuto da Adamo ed Eva prima della caduta e della trasgressione.
Nei libri della Sacra Scrittura, il digiuno ha una lunga storia. I digiuni più noti sono probabilmente quello praticato dal profeta Mosè per quaranta giorni (cf. Es 24,28), quello del profeta Elia (cf. 1Re 19,8), di Cristo (cf. Mt 4; Lc 4).
Malgrado il cibo sia una grazia e un dono di Dio, l’astinenza per uno o più giorni rappresenta una forma di umiliazione che ha come scopo, prima di tutto, quello di convertirci. Nelle pagine della Scrittura troviamo numerosi capitoli e passaggi dedicati al digiuno e ai suoi effetti. Ricordiamo Is 58, Gl 2,12-20, Mt 6,1-18.
Nel libro di Gioele la pratica del digiuno comunitario può essere racchiusa in sette passi[1].
1. Suonate il corno in Sion[2]: ovvero la vita di lode in Chiesa;
2. Santificate il digiuno: ovvero dedicare questi giorni prima di tutto al Signore;
3. Proclamate il ritiro: ovvero ritirarsi per potersi dedicarsi alla conversione;
4. Radunate il popolo: mediante giornate spirituali e preghiere;
5. Santificate la comunità: ovvero purificate il popolo mediante la purificazione del cuore dal peccato;
6. Astenersi dalla passione: ovvero astenersi dai rapporti coniugali, di comune accordo;
7. Piangano i sacerdoti: in quanto guide e modelli offrono preghiere con lacrime.
Questo è il “digiuno umile” che apre il cuore alla santità e fa vivere l’uomo nel pentimento e nel pianto per i propri peccati, lontano dai piaceri che possono distrarlo.
Il “digiuno umile” è capace di toccare le nostre emozioni, i nostri pensieri e le nostre coscienze, non soltanto il nostro stomaco. Così possiamo purificarli dai litigi, dalle polemiche e dai pensieri cattivi.
Ci è stato donato di essere in presenza di Cristo mentre siamo sulla terra, talvolta da vincitori, talatra da crocifissi. Ma dobbiamo essere sempre pronti e mai fuggire dal suo volto. Il digiuno umile ci aiuta molto in questo senso a essere pronti per incontrare Dio (cf. Es 24,28; Dn 9,3).
Talvolta il digiuno diventa inutile: ci attacchiamo alle formalità e cambiamo soltanto tipo di cibo, oppure digiuniamo controvoglia, o per far vedere alla gente che digiuniamo (cf. Mt 6,16). Così facendo cadiamo nei peccati dell’orgoglio, dell’ostentazione, del formalismo privo di sostanza e di profondità.
Il vero digiuno è legato all’amore del prossimo ed è inseparabile dalla preghiera, la quale alimenta il digiuno. Per questo dice il salmista, il profeta Davide: “Se solo potessi avere ali come di colomba per volare e trovare riposo” (Sal 54,6-7). La vera preghiera e il vero digiuno fanno innalzare l’anima come una colomba che, pura, vola verso Dio. Così essa può trovare riposo e gioia. “Volo e trovo riposo” significa “prego e trovo riposo, digiuno e trovo riposo”.
Una volta un uomo fece visita a un sacerdote e gli disse: “Mostrami Dio!”. Il sacerdote gli disse: “Non posso mostrarti Dio. In più, so che tu sei in uno stato tale che non ti permette di vederlo”. Meravigliato di questa risposto, l’uomo riprese: “Come lo sai?”. Rispose il sacerdote: “Te lo dimostro. C’è un testo evangelico che ti colpisce talmente tanto da penetrare nel tuo cuore?”. E l’uomo: “Sì, è la storia della donna colta in flagrante”. “Perché?”, gli chiese il sacerdote. E l’uomo rispose: “Credo che io sia l’unico che non si sarebbe ritirato dalla scena prima di averle tirato una pietra”. Al che gli disse il sacerdote: “Hai risposto tu stesso. Non puoi vedere Dio perché gli sei totalmente estraneo. Non sai ancora come digiunare dal tuo ego”.
Caro lettore, prega con me:
“Ti ringrazio, Signore, perché mi hai donato la grazia del digiuno
e mi hai portato fino a questo ora.
Ti supplico, Signore, aiutami a vedere i miei peccati, a conoscere le mie debolezze
e a non nascondere nel cuore alcuna cattiveria o alcuna specie di male.
Possano questi giorni di digiuno essere un’occasione vera
per penetrare nel profondo del mio cuore
ed entrare nell’intimo della mia camera
chiudendo la porta alle parole e al cibo.
Allora ti vedrò, mia gioia, mia forza, mio aiuto
essendo davvero convertito, con lacrime e pentimento.
Allora non ti sarò estraneo. Amen.”
[1] Cf. Yusuf As’ad, al-Sawm al-masihi (Il digiuno cristiano).
[2] Il testo citato è secondo la LXX, N.d.T.
Tawadros II
papa di Alessandria e patriarca della predicazione di San Marco
traduzione dall’arabo
tratto da: “al-Sawm, tawbatuna”, al-Kiraza, anno 47, n. 9-10, p. 3
grazie…
bellissimo commento sul senso del digiuno .
Un’itinerario necessario per l’Incontro:”allora ti vedrò…allora non ti sarò più estraneo”.
Grazie Pia per i tuoi commenti sempre ispirati e ispiranti. Il Signore ci dia di vederlo, anche solo un po’.