Tutto nudo devi solcare il mare della vita, e la tua nave non vada pesante sui flutti, destinata, così, a naufragare presto[1].
Pensa alla fredda morte come se fosse sempre presente, e troverai, al suo incontro, la morte meno amara.
Innalza sempre la tua mente, come un tempio, a Dio, affinché tu abbia il Signore all’interno del tuo cuore, come statua immateriale.
Conosci te stesso[2], mio caro, chi tu sia e donde tu venga: così più facilmente tu otterrai la bellezza archetipale[3].
Un giorno ti porta al successivo; chi è leggero è preso dal vortice; ma la mente dell’uomo costante ha un giorno che dura eterno.
Chi confida nelle cose che vanno e vengono confida in una corrente, che mai non si ferma.
Malanno uguale sono, per me, il vivere il parlar scellerato; se tu hai una qualunque delle due cose, tu hai anche l’altra.
È atteggiamento empio, se si è impuri, essere presente ai sacrifici; ancor più terribile è venerare tutte le reliquie dei morti[4].
Non fermarti mai sulla strada delle cose buone[5]:fermarsi significa, per te, scivolare nell’abisso del male, se tu sei uscito dal tuo vizio.
Vede, ma è cieco, colui che non vede la sciagura della sua malvagità; andar dietro alle tracce di una fiera è proprio degli occhi acuti.
Quando hai bisogno di un medico per le tue malattie, se gli tieni nascosi i tuoi mali, non potrai fuggire al doloroso marciume.
Tu hai la parola, io l’azione. Colui che non ha fatto una buona azione, abbia pure l’eloquenza come ambigua alleata.
La sazietà è violenta. Io però voglio, mio caro, che tu abbia questo impegno: la saldezza per l’anima sempre mobile.
Sii ricco soltanto di Dio, e considera tutto il mondo uguale ad una tela di ragno. Tutte le cose degli uomini sono estranee a questa vita: solo la virtù dei mortali vale la pena di essere vissuta.
“Qua venite”, grida a tutti il Logos di Dio, dalla sapienza immortale, “venite alla conoscenza della celeste Trinità”.
Volgete l’animo, o voi, quanti le pure nozze legarono a quel genere di vita[6], a procurare maggior frutto per i torchi celesti[7].
E quante siete state abbracciate dal grande Dio il Logos, vergini spose, offrite ogni cosa a Dio.
Splendore luminoso è colui che vive da solo[8], ma devi distogliere l’animo dal mondo e collocarlo lontano dalla carne.
È empia cosa avere la fede in superficie, e non nel cuore: essa potrebbe facilmente scorrer via. Io voglio una convinzione profonda.
Non avere né una giustizia inflessibile né una prudenza tortuosa. Dappertutto la misura è la cosa migliore.
Sia ben guidata anche l’audacia, ché altrimenti è soltanto audacia, e non è forza. È opera della temperanza essere anche sereni.
Ottima cosa è aprire sempre la mente agli oracoli di Dio: così tu potresti diventare esperto nelle leggi celesti.
Cerca di essere ottimo; cerca di dispiacere a coloro ai quali è bene dispiacere. Se alla malvagità tu arrechi gioia, è un’ignobile fama.
È cosa turpe che colui che è ottimo sia difensore dei malvagi: è come se tu avessi il piede all’interno della malvagità.
L’oro si doma nelle fornaci e l’uomo nobile nei dolori: il dolore è spesso più leggero della mancanza di preoccupazioni.
Facilmente rinnegherebbe il grande Iddio colui che rinnega il proprio padre: riconosci nel tuo genitore il padre della tua pietà.
I vermi consumano ogni cosa: non lasciare le cose tue nemmeno alla tomba; l’onore dell’epitaffio consiste in un nome glorioso.
Abbi rispetto degli stranieri delle nostre parti, ma soprattutto di coloro che hanno lasciato ogni cosa, perché fosse dei morti che non hanno più forze.
Orsù, dunque, abbandonando qui tutto il mondo e le sue preoccupazioni, apri la vela verso la vita celeste.
Compi sempre ottime opere in modo degno di Dio, e la Trinità ti stia a cuore in modo particolare.
Gregorio Nazianzeno
Poesie I, 2, 31 (Sentenze in distici)
in Gregorio Nazianzeno, Poesie, Città Nuova, Roma 1994, pp. 242-244.
[1] Cioè vivi senza ricchezze, le quali sono destinate a essere perdute in caso di disgrazia. Il motivo del naufragio della vita, per indicare le sciagure che la sconvolgono e che implicano la perdita delle ricchezze e degli onori, era diffuso nella predicazione dei filosofi cinici.
[2] Era la famosa massima incisa sul fronte del tempio di Apollo a Delfi: Gregorio la fa sua, in senso cristiano, anche nell’Orazione 32,21.
[3] Tale espressione si legge anche nell’Orazione 38,13 (Sul Natale).
[4] Una critica al culto delle reliquie dei morti, che si stava diffondendo allora in modo smoderato nel cristianesimo antico, presso le persone incolte e ignoranti.
[5] Una analoga concezione si legge nel prologo della Vita di Mosè di Gregorio di Nissa: il Padre osserva che la virtù, identificandosi con Dio, è infinita, e che pertanto la strada che si deve percorrere nella virtù, è parimenti infinita: fermarsi implica un peccato, perché significa volgersi al peggio.
[6] Cioè la vita verginale, alla quale Gregorio ha dedicato i carmi I, 2, 1-7.
[7] Cf. Is 63,1-6.
[8] Cioè il monaco.