Non siamo soliti pubblicare articoli riguardanti l’attualità scottante. Ma crediamo che davanti all’enorme, indicibile scandalo della rottura della comunione ecclesiale tra la Chiesa ortodossa Russa e la Chiesa ortodossa di Costantinopoli è necessario dire qualcosa e dirlo con il Vangelo in mano. Abbiamo scelto un articolo che esprime molto bene l’opinione di tanti ortodossi sconvolti per quello che succede e anche l’opinione di questo blog. A scanso di equivoci, quest’articolo non è stato scritto da un russo ma da un vescovo greco, il metropolita Nicholas, metropolita di Mesogaia e Lavreotiki in Grecia che ringraziamo per la sua “messa a punto” spirituale di cui tutti sentivamo un enorme bisogno. Vi chiediamo la cortesia di leggerlo e di diffonderlo il più possibile.
In questi mesi scorsi siamo stati testimoni di una crisi molto pericolosa, e apparentemente ingiustificata, sorta nella nostra Chiesa a causa dell’imminente offerta di autocefalia alla Chiesa ucraina o, meglio, a causa della creazione di una Chiesa autocefala in Ucraina.
Pare che le relazione intraortodosse siano in pericolo: mentre cerchiamo l’unione con gli eterodossi, gli ortodossi, pur confessando l’amore che li unisce tutti, lo contraddicono nelle loro relazioni quotidiane. Proclamano il vincolo della comunione che li unisce mostrando l’esatto opposto.
I fedeli assistono a discussioni legalistiche tra i loro leader. Invece di unire i fedeli, essi creano campi di adepti e gruppi di partigiani. Che peccato!
In tutta questa disputa, c’è un pretesto e una causa. Il pretesto è costituito dal bisogno dell’autocefalia della Chiesa ucraina. E la causa è il diritto di conferirle questa autocefalia. Ma chi ha il diritto di farlo?
Le Chiese coinvolte fanno riferimento a privilegi storici, a diritti e a canoni. Sfortunatamente, non fanno mai riferimento al Vangelo. La prima questione che viene in mente è: l’autocefalia è davvero così necessaria? E se sì, non potrebbe attendere un po’?
C’è una seconda questione: i nostri diritti sono davvero così importanti tanto da difenderli ignorando o combattendo contro i nostri fratelli o, ancor peggio, rompendo la nostra comunione millenaria con loro?
In terzo luogo: fare riferimento ai diritti storici e ai canoni è davvero più importante di fondarci sulle parole del Vangelo?
Da adesso in poi, Costantinopoli chiamerà “amici” coloro che fino ad ora erano i “fratelli di Russia” e questi ultimi si rifiutano di riconoscere il carattere ecumenico del Patriarcato di Costantinopoli.
Le basi essenziali dell’unità della Chiesa sono, dunque, distrutte: la fraternità, di cui la comunione panortodossa è l’espressione, e l’ecumenismo, di cui Costantinopoli è garante, secondo i canoni e la tradizione storica.
1. In realtà l’autocefalia dell’Ucraina è più un diritto e una richiesta politica ostinata che una necessità così urgente. D’altra parte, invece, l’unità delle Chiese è una necessità indiscutibile e un comandamento evangelico. Che cos’è più importante: l’autocefalia di una Chiesa locale o l’alienabile unità di tutti nella “Chiesa una, santa, cattolica e apostolica”?
Chi sono coloro che chiedono l’autocefalia? È possibile che un presidente dalla dubbiosa spiritualità e un autoproclamatosi “patriarca”[1] dalla problematica sensibilità ecclesiologica – che fino ad ora era da escludere in quanto scismatico – sarebbero le persone adatte ad esprimere questa necessità dello Spirito Santo, la volontà di Dio e l’aspirazione della Chiesa in Ucraina?
Se non vogliamo sentire le voci di coloro che si oppongono all’autocefalia, come possiamo sostenere le speranze di unità di fronte a coloro che hanno già causato uno scisma molti anni fa e che, per molto tempo, hanno accolto tra le loro file i partigiani del vecchio calendario in Grecia e altrove?
Se Filaret fosse stato eletto come Patriarca di Mosca nel 1990 – cosa che egli desiderava ardentemente ma che gli è fuggita di mano – chiederebbe oggi di diventare metropolita della Chiesa autocefala di Ucraina? E se sì, a chi lo chiederebbe? Al Sinodo di Mosca che lui stesso presiederebbe o a Costantinopoli che oggi fa finta di rispettare e davanti al quale apparentemente si china?
2. Secondo la logica cristiana, chiunque tiene in considerazione solo i propri diritti non sta nel giusto. Sta nel giusto chiunque protegge i propri diritti preservando l’equilibrio tra amore, pace, pazienza, perdono e riconciliazione. È solo allora, infatti, che i “diritti” di Dio sono salvaguardati. Inoltre, la nostra salvezza non si basa forse sulla più grande ingiustizia? “La maledizione della giusta condanna è abolita da una ingiusta condanna del Giusto”[2]. Fortunatamente, il Signore non faceva riferimento alla Legge e ai suoi diritti![3]
Nella fase attuale, l’approccio alla questione dell’autocefalia dell’Ucraina si concentra sui diritti di coloro che la possono garantire, cioè il Fanar [Costantinopoli] e Mosca, in base a un potere storico [Costantinopoli] o politico-economico [Mosca], ma non si fa riferimento al Vangelo, o perlomeno alle esigenze ecclesiali in Ucraina. Inoltre, all’orizzonte appaiono piani, ingiunzioni e pressioni politiche potenti. Ma al santo Vangelo non resta che la facciata.
3. Veramente, che legame può avere tutto questo con la logica del Dio crocifisso, con l’etica delle Beatitudini e del Sermone della Montagna, con l’asciugamano della Cena mistica[4], con i comandamenti di Cristo riguardo al servizio, con la preminenza dell’eschaton, con la preghiera sacerdotale del Signore “affinché tutti siano uno”, con l’insegnamento e il pensiero del divino Apostolo Paolo, con le omelie che ascoltiamo ogni domenica e con le lettere pastorali inviate per le principali feste liturgiche? L’applicazione dei canoni può abrogare il Vangelo?
Chi è in grado di capire come Chiese sorelle in Cristo per così tanti secoli ora possano rallegrarsi nello scoprire le cadute e gli errori l’una dell’altra? La tensione che sperimentiamo oggi significa forse che non ci siamo amati abbastanza nel passato? Come possiamo giustificare che i leader delle nostre Chiese sostengano così a gran voce il dialogo interreligioso e intercristiano e poi si rifiutano di comunicare tra loro? È possibile che noi possediamo tutta l’illuminazione e che nessun raggio illumini coloro che fino ad oggi sono stati nostri fratelli? Qual è in ultima analisi il significato del termine “comunione” se non include la comprensione reciproca?
O è possibile che non si rendano conto delle conseguenze catastrofiche di un minacciato scisma? Quale sarebbe, allora, la colpa del semplice fedele escluso dalla grazia dei luoghi di pellegrinaggio dell’altra ortodossia? Perché i fedeli russi dovrebbero essere privati della Santa Montagna[5] e i fedeli ellenofoni essere privati di San Serafino di Sarov, delle Grotte di Kiev, del [monastero di] Valaam, della grazia dei neomartiri russi? La grazia di Dio non è universale e da condividere con tutti? Se siamo uniti dalla fede e dal dogma comune, come possiamo giustificare una divisione basata su un disaccordo amministrativo?
Infine, per chi e per quale ragione è stato scritto il Vangelo d’amore, di perdono e di unità? Non si applica forse a noi e alle sfide del nostro tempo?
4. Inoltre, che cosa ne sarà della nostra confessione ortodossa nella diaspora o nei paesi di missione? Quale Cristo predicheremo e confesseremo? Quel Cristo che “ha chiamato tutti all’unità”, ma le cui parole stiamo negando con il nostro atteggiamento? O quel Cristo che non è riuscito a unire nemmeno coloro che per duemila anni hanno creduto in lui? La soddisfazione di aver ottenuto l’autocefalia è breve e tocca solo poche persone. Ma lo scandalo causato ai fedeli e al mondo è incommensurabile e generalizzato. Il peccato dello scisma è incurabile e imperdonabile.
È perfino possibile che Mosca punisca il suo clero e i suoi fedeli che ricevono la comunione sulla Santa Montagna o sull’isola di Patmos o forse più tardi anche a Gerusalemme e in Grecia? La comunione divina può diventare una leva per pressioni e ricatto politici? Dopo aver fatto esperienza del mistero per mille anni, questo è quello che abbiamo capito? Possiamo accettare l’interruzione momentanea della commemorazione dei patriarchi come segno di veemente protesta ma in alcun modo possiamo accettare la rottura della comunione tra i fedeli. La Chiesa stessa, invece di guidare il popolo di Dio a luoghi di santificazione, lo porta all’estraniamento dalla grazia. Invece di indebolire la fede della gente, non sarebbe meglio rafforzarla nella speranza che porterà i suoi leader a ragionare?
Speriamo che il nostro patriarca [Bartolomeo] allarghi ulteriormente il suo abbraccio ecumenico così che i russi possano trovarvi un posto. Quanto agli ucraini, essi non si uniranno a livello ecclesiale se non impareranno a perdonare i russi all’interno della Chiesa e a unirsi con loro. La Chiesa è Chiesa quando sconfigge i suoi nemici. Le parole di Sant’Anfilochio il giovane di Patmos, recentemente canonizzato dal Patriarcato ecumenico, sono più che mai attuali: “Vuoi vendicarti di quelli che ti mettono alla prova? La migliore vendetta è amarli: l’amore trasforma, infatti, perfino le bestie feroci”.
Ci aspettiamo anche dai nostri santi padri della Russia, la cui preghiera il popolo chiede alla fine di ogni liturgia, di unire la Chiesa lavorando con umiltà e non con uno spirito di conquista. Essi allora, con la grazia di Dio, vinceranno i cuori di tutti gli ortodossi. Non c’è ragione per loro di divenire la “terza Roma” secondo lo spirito di questo mondo, ma la “prima e santa Mosca” su un piano spirituale e allora avranno il primato nei nostri cuori.
Con l’aroma della loro esperienza della recente e crudele persecuzione e con la grazia dei loro neomartiri, ci aspettiamo da loro anche che offrano alla nostra Chiesa una fragrante testimonianza di unità. Così come è cattivo l’orgoglio del piccolo e del debole, così è buono l’umile sapienza del potente e del forte. Di ciò abbiamo tutti bisogno poiché ciò che conta alla fine non è chi ha la forza o il diritto dalla sua parte ma chi agisce nello Spirito Santo e trasmette la sua grazia.
Forse il comando divinamente ispirato dell’Apostolo Paolo “Ma se vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri” (Gal 5,15) mostra a tutti noi la via da seguire. Nei conflitti ecclesiali tra fratelli non c’è vincitore. Ma quando ci riconciliamo, nessuno va perduto. Tutti sono benedetti.
La Corea del Nord è giunta a un accordo con la Corea del Sud. E noi che preghiamo ogni giorno con il “Padre nostro” nel nostro cuore e sulle nostre labbra non riusciamo a metterci d’accordo?!
Preghiamo ardentemente che il Signore ci conceda “con la tentazione la via d’uscita” (1Cor 10,13) e ci guidi rapidamente alla conversione e alla “consolazione” (cf. Sal 66,12). Amen.
[1] Il riferimento è a Filaret, ex metropolita di Kiev, scomunicato nel 1997 dal Patriarcato di Mosca e reintegrato nella comunione ortodossa nel 2018 dal Patriarcato di Costantinopoli, N.d.T.
[2] Stichera per la festa dell’Esaltazione della Croce, N.d.T.
[3] Nel senso che se il Signore avesse voluto fare appello alla Legge, a quest’ora saremmo tutti condannati e non ci sarebbe salvezza, N.d.T.
[4] Il riferimento è alla lavanda dei piedi compiuta da Cristo agli Apostoli, narrata dall’evangelista Giovanni: “Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto” (Gv 13,3-5), N.d.T.
[5] L’Athos, N.d.T.
Metropolita Nicholas di Mesogaia e Lavreotiki
Μεσογαίας Νικόλαος: ”Διχασμένοι Αυτοκέφαλοι η Ενωμένοι Αδελφοί;
fonte originale in greco
traduzione dall’inglese con alcune correzioni fatte sul greco