Gli anziani del deserto sono convinti che Dio non è presente soltanto nel pieno della nostra lotta, ma che Dio c’è sempre. Dio non è mai assente, non è mai lontano. Dio ci ama senza tener conto di dove siamo, lungo quel viaggio. Ci ama senza tener conto di chi siamo e di cosa stiamo facendo. La più profonda e più intima convinzione dei padri e delle madri del deserto è che Dio li ama. Questo è quel che giustifica la loro gioia. A dispetto della difficoltà e dell’intensità della loro lotta ascetica, questi eremiti sono caratterizzati da un senso di contentezza, non di tristezza:
Mentre stava morendo, abba Beniamino disse ai suoi discepoli: “Se osservate quanto segue, potete essere salvati: ‘Siate sempre nella gioia! Pregate incessantemente! E rendete grazie per ogni cosa!’ (1Ts 5,16-18)” (Beniamino 4)
Amma Sincletica disse: “Al principio, ci sono moltissime lotte e molta sofferenza per coloro che avanzano verso Dio. In seguito, tuttavia, c’è ineffabile gioia. È come per quelli che vogliono accendere un fuoco; dapprima, il fumo li sofoca ed essi piangono. Eppure mediante ciò ottengono quanto cercavano, come è detto: ‘Il nostro Dio è un fuoco che consuma!’ (Eb 12,24). Così anche noi dobbiamo accendere il fuoco divino in noi stessi con lacrime e duro lavoro” (Sincletica 1)
Questi eroi dello spirito sono ricolmi di gioia; anche l’umorismo è una loro caratteristica. I racconti del deserto sono pieni di situazioni spiritose e detti divertenti. Il loro umorismo è, dal mio punto di vista, senza dubbio connesso alla loro umiltà. Se prendono meno sul serio se stessi, è perché vogliono prendere più sul serio Dio. Essi non sono né ossessionati dalla propria lotta ascetica né preoccupati delle loro particolari virtù. Gli abitatori del deserto possono essere gioiosi perché sanno di essere umani, e che il fallimento rientra nella condizione dell’essere umano. In ultima analisi, o piuttosto al di là di ogni analisi, gli anziani del deserto sono consapevoli di una semplice, ma profonda verità: essi sanno di non essere Dio; e sanno che soltanto mediante Dio tutto è possibile. A noi può sembrare tanto ovvio, eppure a volte dimentichiamo questa verità. Gli anziani del deserto sapevano che la perfezione compete alla divinità; e non sta certamente alla nostra fragilità o a ogni nostra presunta capacità di negoziare con la divinità riguardo alle nostre virtù e ai nostri vizi.
Ecco perché i padri e le madri del deserto sono a loro agio nel parlare di tenebra e della lotta attraverso le tenebre. Non si vergognano della loro tenebra o di parlare dei loro pensieri più cupi. È anche il motivo per cui, nonostante i loro detti a volte appaiano crudi, perfino duri, a noi lettori, essi in realtà non ci fanno mai vergognare. Sono sempre comprensivi con noi, sempre compassionevoli nei nostri confronti. La compassione, non la competizione, è il loro obiettivo. Perciò non esprimono mai nessuna amarezza verso i visitatori; non c’è mai alcun senso di vendicatività. Il loro suggerimento non è tanto: “Io vado bene così e tu vai bene così”. A un livello molto più profondo, essi sono consapevoli e ammettono che: “Io non vado bene così e tu non vai bene così”. E tuttavia, questo riconoscimento è anche al loro rassicurazione; infatti, essi sanno che: “Va bene così!”.
In verità, laddove la realtà dell’imperfezione o della limitazione viene negata, è Dio, è la possibilità di trascendere tali limitazioni a essere rifiutata.
John Chryssavgis
Al cuore del deserto, Qiqajon, pp. 166-168