Gioite nel Signore (Fil 3,1)
Dopo aver posto il corpo del Signore Gesù nel sepolcro la tristezza aveva invaso l’animo dei discepoli e la disperazione si era impadronita del loro cuore. Si erano ritrovati nella camera superiore per piangere il loro scacco e per ripararsi dalla violenza degli ebrei nei loro confronti.
Mentre erano sprofondati in questa grande tristezza, il Signore Gesù stette in mezzo a loro e mostrò loro le mani e piedi annunciando loro la buona notizia della sua resurrezione dai morti quale vincitore della morte: “E i discepoli gioirono al vedere il Signore” (Gv 20,20).
Questa gioia del vedere il Signore e dello stare in sua compagnia l’ha sperimentata san Paolo che ha implorato i filippesi dicendo: “Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti” (Fil 4,4). La parola gioia (in greco χαρά) e il verbo relativo χαίρω si ripete più volte nella lettera ai filippesi tanto che questa lettera è stata chiamata “lettera della gioia”.
Nell’antica letteratura greca la parola gioia χαρά era legata all’emozione di felicità e di contentezza che si provava in occasione della nascita, delle nozze o, in generale, delle feste. L’espressione χαίρε era il saluto quotidiano che si usava quando ci si incontrava oppure in testa alle corrispondenze e viene solitamente tradotto con “pace”, “salute” oppure “sta’ bene”.
I filosofi greci, soprattutto gli stoici, ritenevano che le emozioni umane potessero essere suddivise in quattro tipologie: la paura, il desiderio, la tristezza e il piacere. La gioia era considerata come facente parte del piacere. Nonostante ritenessero che le emozioni fossero una reazione passiva a un agente attivo, consideravano la gioia un fenomeno salutare. La Sacra Scrittura non è in contrasto con una tale prospettiva positiva. Tuttavia essa lega sempre la gioia a Dio.
La gioia nell’Antico Testamento
Il popolo gioiva quando Dio lo liberava dai nemici (cf. 1Sam 18,6) o quando Dio gli donava la vittoria in battaglia (cf. Sal 21). La gioia che scaturisce invece dall’adorazione è diversa. Dio gioisce del suo popolo donandogli i suoi beni (cf. Deut 30,9; Sal 147,11) e il popolo risponde a questa gioia di Dio con lodi, espressioni di giubilo e canti di gioia (cf. Sal 33,11; 95,1-2). L’offerta stessa di sacrifici nel Tempio era accompagnata da sentimenti di gioia (cf. Deut 12,12) tanto che le feste religiose annuali erano definite “giorni di gioia” (cf. Num 10,10; Deut 16,11).
La gioia era espressione della relazione personale dell’uomo con Dio. L’uomo giusto trova la sua gioia nella Legge di Dio (cf. Sal 1,2; 119,14), o nella sua Parola (cf. Ger 15,16). La gioia, inoltre, è la ricompensa della fiducia riposta in Dio o dell’affidarsi a lui: “L’amore circonda chi confida nel Signore. Rallegratevi nel Signore ed esultate, o giusti!Voi tutti, retti di cuore, gridate di gioia!” (Sal 32,10-11).
La gioia per la venuta del Messia
I profeti dell’Antico Testamento, soprattutto i profeti del post-esilio, ritenevano che la vera gioia sarebbe stata quella per la venuta del Messia, quando avrebbe restaurato il regno davidico e trasformato il deserto in valli verdeggianti (cf. Is 12,3.6; 51,3). Quando Dio sarebbe venuto a stare in messo al suo popolo, ci sarebbe stata “gioia eterna” (Is 51,11). Ciò che i profeti avevano prospettato e sperato è divenuto realtà con la venuta del Messia, il Signore Gesù. Gli uomini hanno provato una vera gioia per la discesa di Dio in mezzo a loro: “Rallégrati, esulta, figlia di Sion,perché, ecco, io vengo ad abitare in mezzo a te. Oracolo del Signore.” (Zac 2,14). La gioia ha accompagnato tutta la vita del Cristo sulla terra: la gioia per la sua nascita (cf. Lc 19,6), la gioia per la sua resurrezione (cf. Mt 28,8), la gioia del suo ritorno al Padre (cf. Lc 24,52). La vita di Cristo sulla terra è stata come un banchetto di nozze: Cristo lo sposo in mezzo ai suoi discepoli, gli invitati alle nozze pieni di gioia attorno allo sposo.
La gioia è stata inoltre una peculiarità del suo insegnamento e della sua predicazione. Cristo ha paragonato il Regno dei Cieli alla gioia che sperimenta l’uomo quando trova un tesoro nascosto (cf. Mt 13,44). La salvezza di Dio assomiglia alla gioia del pastore quando trova la sua pecora smarrita (cf. Lc 15,5-7) e alla gioia di una donna che trova la moneta che aveva perso (cf. Lc 15,9-10). Ma più di tutti, questa salvezza assomiglia alla gioia che prova un padre per il ritorno del suo figlio smarrito (cf. Lc 15,32). In tutte queste occasioni i parenti e gli amici sono stati invitati a prendere parte a questa gioia. La gioia per aver ottenuto la salvezza di Dio si spande su coloro che ci circondano. Anzi, sono addirittura il cielo e gli angeli a gioire per la realizzazione della salvezza (cf. Lc 15,10).
La gioia della salvezza
Quando era con i suoi discepoli nella stanza superiore il Signore Gesù ha promesso ai suoi discepoli la pace perfetta che non può essere tolta da loro e che non viene scalfita dalle tribolazioni (cf. Gv 15,11;16,24;17,13). Si tratta della gioia per la salvezza che avrebbero ottenuto mediante la morte e la resurrezione del Signore. Questa gioia perfetta o vera è l’oggetto di tutto il Nuovo Testamento: la gioia per la persona del Signore Gesù Cristo “che voi amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa” (1 Pt 1,8); la gioia per il fatto che i nostri nomi sono scritti in cielo (cf. Lc 10,20); la gioia per l’invito alle nozze dell’Agnello (cf. 19,7); la gioia che proveremo quando sentiremo la voce del Signore che dice: “Bene, servo buono e fedele … prendi parte alla gioia del tuo padrone” (Mt 25,21). Questa gioia la vediamo realizzata nella Chiesa primitiva come ci raccontano gli Atti degli Apostoli. I samaritani, infatti, gioirono enormemente quando cedettero al messaggio della salvezza (cf. At 8,8); il funzionario etiope andò via gioioso quando ricevette il battesimo per mano del diacono Filippo (cf. At 8,39); gli antiocheni gioirono e glorificarono Dio quando san Paolo Apostolo portò loro il messaggio della salvezza (cf. At 13,48).
La gioia nelle persecuzioni
Ma i primi cristiani vissero anche un altro tipo di gioia: la gioia nelle tribolazioni. Il Signore Gesù ha detto beati coloro che subiscono persecuzioni a causa della giustizia e ha comandato a costoro di gioire perché la loro ricompensa è grande nei cieli (cf. Mt 5,11-12). Così gli Apostoli hanno ottenuto questa beatitudine quando sono stati fustigati dai loro connazionali a causa della predicazione cristiana: “Essi allora se ne andarono via dal sinedrio, lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù” (At 5,41).
Nella lettera agli ebrei i cristiani sperimentano la gioia quando vengono derubati dei loro averi sapendo che nei cieli possiedono beni migliori e duraturi (cf. Eb 10,34). San Pietro raccomanda ai cristiani di rallegrarsi quando soffrono partecipando alle sofferenze di Cristo così da poter esultare nella rivelazione della sua gloria (cf. 1Pt 4,12-14). San Giacomo afferma addirittura che il subire le prove porta a “perfetta letizia” (Giac 1,2).
San Paolo è colui che più di tutti ha affermato questo paradosso della gioia nella sofferenza. Riteneva che le sue sofferenze fossero una partecipazione a quelle di Cristo: “Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne” (Col 1,24). Le sue sofferenze gli ricordavano sempre la grazia del Signore vale a dire la potenza di Cristo che operava nella sua debolezza: “Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo” (2Cor 12,9). La parola grazia χάρις è legata strettamente alla parola gioia χαρά. La grazia di Cristo è il dono che trasforma le nostre sofferenze in gioia e che ci permette di sperimentare la perfetta letizia anche nelle tribolazioni e nelle difficoltà più dure.
Nella lettera gioiosa che san Paolo invia ai filippesi e nella quale li invita a gioire sempre, lo vediamo chiaramente. Paolo soffriva dei falsi fratelli che “pensano di accrescere dolore alle mie catene” (Fil 1,17). Malgrado ciò egli dice: “Io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene” (Fil 1,18). Poi, quando fu gettato in carcere, mentre era in attesa del processo senza sapere se sarebbe stato rilasciato o se sarebbe stato giustiziato, dice: “Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti” (Fil 4,4). Inoltre la chiesa a Filippi era divisa e l’unità della Chiesa era in pericolo. Dal momento che la Chiesa era divisa lo Spirito Santo, poiché è Spirito di unità, aveva smesso di agire in mezzo alla comunità. Di conseguenza, uno dei suoi frutti, cioè la gioia (cf. Gal 5,22), era venuto a mancare nella comunità. Perciò san Paolo supplica i filippesi dicendo: “Rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi” (Fil 2,2). La gioia che ha in mente san Paolo in tutte queste situazioni è la vera gioia che è nel Signore Gesù: “Siate lieti nel Signore” (Fil 3,1).
La gioia vera è frutto della resurrezione di Cristo
Questa gioia sperimentata dai primi cristiani nella quale vive la Chiesa fino ad oggi nonostante le sofferenze, le tribolazioni e le persecuzioni che subisce era il frutto della resurrezione del Signore dai morti. Egli aveva assunto in lui tutte le debolezze e le emozioni umane, quali tristezza, angoscia, dolore, inimicizia, e le aveva trasformate a nostro vantaggio in amore, gioia, pace, mitezza, pazienza. Perciò nell’inno della Resurrezione[1] la Chiesa fa appello ai suoi figli dicendo:
Venite tutti voi fedeli ad adorare la resurrezione di Cristo. Poiché per mezzo della sua Croce la gioia ha invaso[2] il mondo intero
Rivolgendosi alla Vergine Maria dice:
Hai generato, o Vergine, il datore della vita. E hai salvato Adamo dal peccato. Hai dato ad Eva la gioia, in cambio della sua afflizione. E ci hai fatto grazia della vita, e la salvezza dalla corruzione e dal cambiamento.
Poi si rivolge alle Marie che stettero presso il sepolcro:
Il tempo del pianto è finito. Non piangete, ma annunciate agli apostoli la resurrezione
L’incarnazione del Signore è stato il momento in cui la vera gioia è entrata nel mondo e questa gioia è stata portata a perfezione il giorno della sua risurrezione dai morti.
San Gregorio Taumaturgo canta in occasione della festa dell’Annunciazione:
Oggi canti di lode vengono intonati gioiosamente dal coro degli angeli:
la luce dell’avvento di Cristo brilla sui credenti.
Oggi è per noi la primavera gioiosa, Cristo, Sole di giustizia,
che ha illuminato con la sua luce radiosa ciò che ci circonda
rischiarando le menti dei credenti.
Oggi Adamo è stato ricreato,
e sussulta nel coro degli angeli
diretto verso il Cielo.
Oggi tutta la terra è stata colmata di gioia,
dal momento che lo Spirito Santo è venuto ad abitare negli uomini.
Oggi la grazia di Dio e la speranza dell’invisibile brilla mediante le meraviglie che trascendono l’immaginazione
e rivela a noi chiaramente il mistero che era stato celato dall’eternità…
Oggi si è compiuta la parola di Davide:
“Si rallegrino i cieli ed esulti la terra,
sia scosso il mare e quanto contiene;
gioiscano i campi ed esulteranno tutti gli alberi del bosco
davanti al volto del Signore, perché viene” (Sal 95,11-12 LXX)[3]
San Cirillo il Grande commenta le parole che il Signore ha rivolto alle Marie dopo la risurrezione “Pace a voi χαίρετε (cioè gioite!)” (Mt 28,9) dicendo:
Le donne, avendo conosciuto il mistero della voce degli angeli, corsero a riferire queste cose ai discepoli. Poiché infatti era giusto che questa grazia, sebbene così meravigliosa, fosse donata alle donne. La donna, invero, che in passato fu serva della morte è ora liberata dalla sua colpa facendosi serva della voce dei santi angeli ed essendo la prima a sapere e a riferire il glorioso mistero della resurrezione. Il genere femminile ha ottenuto, dunque, sia l’assoluzione dall’onta che il rovesciamento della maledizione. Poiché colui che in passato ha detto alle donne “Con dolore partorirai figli” (Gn 3,16) le ha ora liberate dalla loro sventura quando, avendole incontrate nel giardino, come un altro evangelista riferisce, disse loro: “Gioite” (Mt 28,9)[4].
[1] Ⲧⲉⲛⲛⲁⲩ “Contempliamo”, inno della Resurrezione della Santa Salmodia della Chiesa copta ortodossa.
[2] Lett. “è entrata, è venuta in”
[3] PG10,1145-1156.
[4] PG72,941-942.
anba Epiphanius
vescovo e abate del Monastero di San Macario il Grande
tradotto dall’arabo da: مفاهيم إنجيلية, pp. 211-219