La morte non è naturale; piuttosto è innaturale.
E la morte non è di natura; piuttosto è contro natura.
Tutta la natura, in preda all’orrore, grida: “Io non conosco la morte! Io non mi auguro la morte! Io ho paura della morte! Io lotto contro la morte!”
La morte è, in natura, uno straniero senza invito.
Tutta la natura reagisce contro questo straniero senza invito e lo teme. Giacché è simile ad un ladro nel giardino di qualcun altro, che non solamente vi ruba e ne mangia i frutti, ma calpesta, rovina, rompe e sradica ciò che è piantato. E quanto più devasta tanto più si sente soddisfatto.
Quandanche cento filosofi dichiarassero “la morte è naturale!”, la natura tutta vibrerebbe per l’indignazione e urlerebbe: “No! Non so di che farmene della morte! È uno straniero senza invito!”.
E la voce della natura non è un sofisma.
La protesta della natura contro la morte è di gran lunga più forte di tutte le scuse escogitate per giustificare la morte.
E se qualcosa c’è che la natura lotta per esprimere nella sua armonia intatta, facendolo senza eccezioni e all’unisono, ebbene è la protesta contro la morte. È la sua elegia alla morte unanime, disperata fino a scuotere i cieli.
Se, infatti, la morte è innaturale, se essa non è naturale ed è contro natura, sorge allora una domanda: perché è così e da dove la morte si è introdotta nella natura?
Nessun regno di luce e di vita accetta la morte come abitante. Deve essersi infilata furtivamente nei mondi della vita segretamente – strisciando sul ventre e tenendosi nascosta perché non fosse individuata e smascherata – da qualche abisso senza fondo dove faceva troppo freddo e dove c’era troppa solitudine.
La morte era dietro i denti di un serpente morto a se stesso [si riferisce al demonio]. Nessuno al mondo conosceva il bene e il male – esisteva soltanto la beatitudine; e nessuno aveva mai sentito parlare di conoscenza e ignoranza – v’era solo saggezza; nessuno sapeva della vita e della morte – cvera solo uno stato di beata saggia beatitudine.
Ma a causa di un’occasione, che è più spaventosa dell’incubo più orrendo, la bocca del serpente si aprì e apparirono i denti carichi di veleno – e la morte entrò nella natura all’inizio della sua creazione.
San Nikolai Velimirović di Žiča
(1880-1956)
in “Scritti scelti” (in russo) (Minsk, Monastero di Santa Elisabetta, 2004)