Un giorno il padre Agatone si recò in città a vendere un po’ di roba e trovò sul ciglio della strada un lebbroso. Il lebbroso gli dice: «Dove vai?». E il padre Agatone: «In città a vendere merce». «Fammi la carità – gli dice l’altro – prendimi su e portami là». Se lo caricò sulle spalle e lo portò in città. «Dove vendi la roba, lasciami lì», gli disse. E così fece. Quando ebbe venduto un canestro, il lebbroso gli chiese: «A quanto l’hai venduto?». Glielo disse. Ed egli: «Comprami una focaccia». La comprò. Vendette poi un altro canestro. Egli chiese: «E questo a quanto?». Gli disse: «A tanto». Ed egli: «Comprami questa cosa». Gliela comprò. Quando ebbe venduto tutto e stava per andarsene, il lebbroso gli chiese: «Te ne vai?». «Sì». «Fammi un’altra carità – gli disse allora – prendimi su e portami dove mi hai trovato». Agatone se lo caricò sulle spalle e lo riportò in quel luogo. Il lebbroso gli disse infine: «Benedetto sei tu Agatone dal Signore in cielo e in terra». Agatone alzò gli occhi e non vide nessuno: era infatti un angelo del Signore, venuto per metterlo alla prova.
(tratto da: Vita e detti dei padri del deserto, Roma, Città Nuova, 2005, p. 119)
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“Venite, benedetti del Padre mio; ricevete in eredità il regno che vi è stato preparato sin dalla fondazione del mondo. Poiché ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi deste da bere; fui forestiero e mi accoglieste, fui ignudo e mi rivestiste, fui infermo e mi visitaste, fui in prigione e veniste a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno, dicendo: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare? O assetato e ti abbiamo dato da bere? E quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato? O ignudo e ti abbiamo rivestito? E quando ti abbiamo visto infermo, o in prigione e siamo venuti a visitarti?”. E il Re, rispondendo, dirà loro: “In verità vi dico: tutte le volte che l’avete fatto ad uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me”. (Mt 25:34-40)
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AGATONE monaco a Scete, dopo esserlo stato forse da giovane in Tebaide, anch’egli molto probabilmente della generazione che lasciò Scete al primo saccheggio del 407 circa . Lo ritroviamo infatti presso il Nilo, non lontano da Tura, prima che Arsenio vi si recasse dopo il secondo sacco di Scete. I suoi apoftegmi permettono di identificare una figura dolcissima “nominatissimo nella virtù dell’umiltà e della pazienza” animato da una carità davvero senza paragoni. Dice un suo apoftegma: «Se potessi incontrare un lebbroso, dargli il mio corpo e prendere il suo, lo farei volentieri: questo è l’amore perfetto». Non a caso la raccolta si conclude con il famigerato episodio dell’angelo apparsogli in forma di lebbroso, inviato per mettere alla prova la sua carità e la sua pazienza. L’ultimo dei «discorsi ascetici» di Isaia di Scete è costituito soprattutto da qualche apoftegma che presenta le figure di alcuni padri del deserto: Poemen, Amun, Sisoes, Agatone. Lo spazio di gran lunga più ampio è dedicato al discepolo di Agatone, Abramo, che racconta ad Isaia di Scete molti aneddoti sul suo maestro. Quindi conclude così: «Era pacifico con tutti i fratelli con i quali abitava, tutti l’amavano e imitavano il suo modo di vivere».