A poco più di due settimane dalla fine della Quaresima e a due giorni dalla festa della Croce, la Chiesa copta chiede ai fedeli di meditare sul brano evangelico del “primo comandamento”. Si tratta del vangelo del mattutino del venerdì della V settimana di Quaresima.
Il brano in questione è tratto dal Vangelo secondo Marco:
28Allora si avvicinò a lui uno degli scribi che li aveva uditi discutere e, visto come aveva ben risposto a loro, gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». 29Gesù rispose: «Il primo è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; 30amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. 31Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c’è altro comandamento più grande di questi». 32Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui;33amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici». 34Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo (Mc 12,28-34).
È interessante notare che, dopo una serie di vangeli tipicamente quaresimali che parlano di digiuno, di preghiera, di elemosina e di guarigioni tramite esorcismi, la Chiesa offra un brano apparentemente “poco” quaresimale. Che cosa c’entra questo vangelo in mezzo agli altri? E perché proprio ora?
La Chiesa ci invita a esaminare il cammino quaresimale percorso sinora. A che cosa ha portato tutta la fatica del digiuno, della veglia e della preghiera? Abbiamo semplicemente sostituito un cibo con un altro, magari soffermandoci a guardare meticolosamente l’etichetta degli ingredienti quando abbiamo fatto acquisti al supermercato per scovare eventuali intrusi di origine animale? Oppure abbiamo capito lo scopo profondo di questo periodo di penitenza e di conversione? Pensiamo forse che la Quaresima sia soltanto saltare la colazione e magari il pranzo oppure c’è una posta in gioco molto più alta che ci è sfuggita? Abbiamo digiunato anche dal male oppure ci siamo svuotati gli stomaci ma abbiamo divorato i nostri fratelli? In questo senso, questo brano rappresenta un banco di prova terribile per tutti noi.
Nell’introduzione al libro “Ritrovare la strada” di Matta el Meskin si legge:
Lo scopo di qualsiasi trasformazione cristiana e di qualunque pratica atta a realizzarla è sempre quello di crescere nell’amore e nell’umiltà per diventare più simili a Cristo fino ad avvicinarci alla misura della sua pienezza (cf. Ef 4,13). 1Cor 13, il cosiddetto “inno all’amore”, avverte che anche se fossimo capaci di torturare il nostro corpo dandolo alle fiamme ma perdessimo di mira l’amore sprecheremmo energie per nulla e mancheremmo il vero scopo (cf. 1Cor 13,3). Tutto deve essere convogliato verso l’intenerimento del cuore per combattere la sclerocardia (l’indurimento del cuore), forse la malattia spirituale più grave, in cui l’ego si trincera in se stesso chiudendo tutti i canali di comunione. Il digiuno, mostrandoci continuamente i nostri limiti, è utile a insegnarci l’umiltà. Se porta all’orgoglio è sintomo che è diventato fine a se stesso e va subito interrotto, pena l’azzeramento di ogni beneficio spirituale. Un digiuno farisaico (“Io digiuno due volte a settimana!”, Lc 18,12) che genera in noi il giudizio degli altri che non digiunano come noi sarebbe il pervertimento del fine per cui esso viene praticato. L’ascesi deve essere praticata per amore e in vista dell’amore. Addirittura, i padri – e in questo Matta el Meskin non fa eccezione – ci dicono chiaramente che l’ascesi deve essere messa da parte laddove contraddice l’amore e la comunione con gli altri.
Eccoci al punto cruciale. La Quaresima deve avere come obiettivo non l’ascesi per l’ascesi ma l’amore. Siamo stati capaci di sperimentare su di noi l’amore di Dio e di trasmetterlo, anche solo un poco, agli altri? Ci siamo nutriti alla Parola di Dio e all’Eucarestia? Ci siamo lasciati cambiare?
Scrive Matta el Meskin:
Il digiuno è un’esperienza nella quale la persona entra in lotta con l’ego ed è una palestra nella quale l’ego è messo di fronte all’abbandono e a forme di resistenza da parte nostra. Per questo il digiuno è, prima di tutto, un atto d’amore, parte integrante dell’esperienza della croce e fa accedere ad essa in maniera sensibile. Lo Spirito Santo acquisisce forza in noi se ci lasciamo accompagnare verso il deserto del digiuno per affrontare la morte parziale del nostro ego sull’esempio dell’agnello che viene condotto al macello (cf. Is 53,7). Il segreto della vitalità dello Spirito in noi consiste nel riuscire a vedere nell’amore immolato l’esperienza primaria che ci permette di percorre fino alla fine la via della croce (Matta el Meskin, Ritrovare la strada, Qiqajon, pp. 177-178).
L’ascesi è semplicemente uno strumento ma non il fine a cui mira la Quaresima. Non è un caso che proprio il giorno prima, giovedì della V settimana, il brano dell’Apostolo letto nella liturgia è 1Cor 13: “Se consegnassi il mio corpo alle fiamme, ma non avessi l’amore, a nulla mi servirebbe” (1Cor 13,3). È come se la Chiesa ci avvertisse poco per volta, con la gradualità e la saggezza di una provetta maestra di vita, di fare attenzione: “Attenzione: se pensi di aver fatto qualcosa con il tuo digiuno, ma non sei avanzato nemmeno di un centimetro nel cammino dell’amore, non hai centrato l’obiettivo”.
Non è un caso neanche che a seguire questi due brani (1Cor 13 e Mc 12,28-34) è la festa della Croce. La Chiesa ci permette di meditare con calma, prima dell’ingresso nella Settimana santa, il mistero della Croce che è mistero d’amore: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16), “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici” (Gv 15,13), “L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,5).
Ecco, dunque, che il Vangelo ci interroga: quanto siamo distanti dalla Croce? O, per dirla con le parole del Vangelo di Marco, quanto siamo “lontani dal Regno di Dio”? Quanto la nostra ascesi ha mortificato il nostro io orgoglioso, filautico, centrato e chiuso su di sé? Quanto siamo morti a noi stessi finora? Fino a quando rinvieremo? Tra poco osanneremo Gesù che entra a Gerusalemme: saremo capaci di seguirlo fino alla Croce? “Potete bere il calice che io sto per bere?” (Mt 20,22)
Macariensis
grazie! preziosissimo scritto.
lo custodiro’ nel cuore…perché mi educhi e mi cambi .
Grazie Pia per il tuo commento e per la tua mitezza. Prega che i cristiani scoprano il vero senso, misterioso e profondo, della Quaresima così da essere resi degni di penetrare i misteri della Settimana di Passione e di esultare di gioia la notte della domenica di Resurrezione.