Una delle vittime della decisione di Lutero di limitare i libri dell’Antico Testamento a quelli contenuti nel canone rabbinico, fu certamente la drammatica e avvincente storia di Susanna, che forma il capitolo iniziale della versione greca del Libro di Daniele (o capitolo 13 nella versione tradizionale latina dell’Occidente cristiano).
Per i protestanti, la storia di Susanna, insieme a tutti gli altri brani dell’Antico Testamento non contenuti nel canone ebraico/aramaico, fu messa in quelli che divennero noti come “testi apocrifi”, facendo sì che molti cristiani, in epoche successive, l’avrebbero presa meno sul serio e l’avrebbero letta, probabilmente, meno spesso. Nel nostro paese [gli Usa], infatti, dove la maggior parte delle Bibbie protestanti sono state tradizionalmente pubblicate senza gli apocrifi, si può affermare che un buon numero di ardenti lettori della Bibbia al momento non hanno pressoché alcuna familiarità con la memorabile storia di Susanna.
Un vero peccato, certamente. Non è esagerato dire che tutte le generazioni di cristiani prima di Lutero e la maggior parte dei cristiani, anche dopo di lui, erano a conoscenza del racconto biblico della bella e saggia Susanna – la storia dei due anziani lussuriosi che tentarono di sedurre con le minacce questa virtuosa donna, la loro ingiuriosa testimonianza contro di lei quando lei li rifiutò, la condanna a morte per il suo presunto adulterio, e il drammatico emergere del giovane Daniele che rivendicò la sua innocenza e confuse i suoi accusatori.
La narrazione di Susanna vale la lettura sia per scopi letterari che spirituali, e i vari filoni dell’esegesi cristiana del racconto di Susanna sono particolarmente ricchi di temi dottrinali e insegnamenti morali. Inoltre, la tradizione teologica cristiana ha fatto particolare affidamento su questa storia a proposito di una caratteristica specifica dell’onniscienza divina: la prescienza di Dio riguardo a eventi futuri.
Cristiani ed Ebrei
Questa storia di Susanna fu particolarmente cara alle prime generazioni di fedeli cristiani. All’inizio del II secolo troviamo già sulle pareti delle catacombe romane la prima di sei icone murali tratte dalla storia Susanna e ci sono sette esempi esistenti di scene tratte dal capitolo di Susanna in bassorilievo sui sarcofagi cristiani dei primi secoli in Italia e in Gallia. Inoltre, in tutta la storia cristiana non è conservato un solo manoscritto cristiano del libro di Daniele privo della storia di Susanna. Nel III secolo, Origene di Alessandria scrisse che il racconto di Susanna era «presente in ogni chiesa di Cristo nella copia greca che è in uso presso i Greci».
Nel momento in cui Origene scrisse questo, tuttavia, sembra che non molti ebrei leggero Susanna, almeno non come Sacra Scrittura. Anche se il racconto aveva chiaramente fatto parte della prima forma semitica del libro (probabilmente scritta in aramaico più che in ebraico, come per la maggior parte del libro di Daniele) che è stato tradotto dai Settanta, esso non è contenuto in nessuna delle sette copie semitiche di Daniele scoperte tra i rotoli del Mar Morto. Inoltre, non si trova né negli scritti di Giuseppe Flavio del I secolo, né nella traduzione del II secolo delle Scritture ebraiche da parte dell’ebreo Aquila. Abbiamo l’ulteriore testimonianza di Girolamo, che parlava di un critico ebreo che considerava la storia di Susanna un frutto della narrativa greca.
Quanto al perché il racconto di Susanna non fosse più presente nel canone rabbinico delle Sacre Scritture, Ippolito a Roma e Origene in Egitto esprimevano una comune visione cristiana del III secolo, avanzando una spiegazione piuttosto semplice. La ragione per cui la storia di Susanna non era stata inclusa nel canone, dicevano, era che il canone più recente era stato stabilito dagli anziani ebrei, che non avrebbero visto di buon occhio un racconto che dipingeva come cattivi due di loro!
Per quanto riguarda la lettura cristiana della versione greca di Daniele, incluso il racconto di Susanna, va ricordata una caratteristica ulteriore e piuttosto curiosa della storia del testo. Dopo che Origene, nel suo famoso Hexapla, mise la traduzione piuttosto recente di Daniele fatta da Teodozio (fine II secolo) in parallelo con quella dei Settanta, i lettori cristiani iniziarono a confrontare le due traduzioni e preferirono quella di Teodozio. Così, nonostante l’autorità tradizionale e venerabile di cui la Septuaginta goda nella Chiesa, la traduzione di Teodozio venne a prevalere tra i copisti cristiani quando trascrissero il Libro di Daniele.
La versione di Teodozio fu poi adottata come versione di Daniele nel lezionario liturgico bizantino e la traduzione latina (Vulgata) del Daniele di Teodozio fu incorporata nel lezionario romano. Fu talmente grande il dominio di Teodozio che l’antica traduzione che i Settanta fecero di Daniele quasi scomparve e non se ne conosceva alcuna copia fino alla scoperta del Chrisianus Codex nel 1772. Allo stesso modo, fu la traduzione teodoziana di Daniele a essere tradotta in quasi tutte le altre versioni cristiane antiche (siriaco peshitta, copto boharico e sahidico, etipe, armeno, arabo e slavone). Stessa cosa accadde con quasi tutte le traduzioni moderne. Inoltre, se i due racconti sono messi a paragone, quello di Teodozio è estremamente più colorito e dettagliato. Quindi, non c’è da meravigliarsi che i copisti cristiani preferissero la resa teodoziana di Susanna.
L’eroina
Susanna, il cui nome è stato tradizionalmente tradotto come “giglio”, è sempre stata tenuta in massima considerazione da parte dei cristiani. Girolamo la chiamò la donna “nobile nella fede”, e fu descritta da Cromazio di Aquileia come “quella donna nobilissima.” Ad ornarle i capo – disse Ippolito – erano “fede, castità e santità.” Fedele ai voti del suo matrimonio, fu ripetutamente presa da Ambrogio e da altri come genuino modello della castità matrimoniale.
Infatti, Zeno di Verona affermò che Susanna considerava la castità più preziosa della sua stessa vita. Temeva la vergogna più della morte; invero, la sola morte che temeva era la morte dell’anima a causa del peccato, scrisse Girolamo. Teodoreto di Ciro la esaltò per aver scelto saggiamente e coraggiosamente con coscienza. «Nel senso evangelico», scrisse Ippolito «Susanna disprezzò coloro che potevano uccidere il corpo, in modo che potesse salvare la sua anima dalla morte». Così, Stefano di Grandmont osservò che Dio, salvando Susanna dal peccato, le mostrò una grazia ancora maggiore rispetto al salvarla dalla morte.
I cristiani sono stati particolarmente colpiti dal fatto che Susanna, quando fu falsamente accusata, non avesse detto una sola parola per difendersi. Inoltre, nella versione di Teodozio, che varia in questo senso dai Settanta, ella non alzò nemmeno la voce in preghiera fino a dopo la sua condanna. Piuttosto, ella pregò in silenzio durante il processo. Mentre veniva accusata, dice il testo, semplicemente “alzò gli occhi pieni di lacrime al cielo, perché il suo cuore aveva fiducia nel Signore.” «Con le lacrime», scrisse Ippolito, «attirò il Verbo dal cielo, Che, Egli medesimo, con lacrime fu in grado di risuscitare dai morti Lazzaro». Come osservò Origene, questo gesto devoto di Susanna è impreziosito da una grande ironia letteraria, perché va messo in contrasto con la descrizione dei suoi due accusatori lussuriosi: “Così essi pervertirono le loro menti e, voltando via gli occhi lontano dal cielo, non diedero giusti giudizi”.
Così Susanna, secondo quando disse Ambrogio, non cercò di giustificarsi, ma chiese in preghiera la giustizia di Dio. I Padri della Chiesa non hanno mai cessato di lodare la preghiera silenziosa di Susanna. Il Signore ascoltò la sua supplica, scrisse Ippolito, perché «Dio ascolta coloro che lo invocano con un cuore puro».
Secondo Ambrogio, «Rimanendo in silenzio ella vinse» E ancora: «Susanna, piegando le ginocchia per pregare, trionfò sugli adulteri», «mantenendo il silenzio fra gli uomini, parlava a Dio». E Agostino: «Mantenne il silenzio ma gridava di dolore nel cuore»; «la bocca chiusa, le labbra impassibili, Susanna gridò con questa voce».
E Girolamo: «Grande fu questa voce, non un movimento di aria, né un grido di fauci, ma fu la grandezza della sua modestia, attraverso la quale gridò al Signore». E ancora: «L’affetto del cuore, e la confessione pura della mente, e il bene della sua coscienza resero più chiara la sua voce, era così grande il suo grido rivolto a Dio che non esso non fu inteso dagli uomini». Analoghe osservazioni furono avanzate da Massimo il Confessore e da altri.
Potremmo riassumere il trattamento tradizionale di questo aspetto della storia citando Leandro di Siviglia, che parla della “virtuosissima Susanna”, che non rispose con parole di giustizia a coloro che la accusavano di adulterio, sebbene ella serbasse quella giustizia nel cuore; né respinse gli adulteri attraverso una qualsiasi sua rivendicazione, ma con coscienza pura ella si abbandonò a Dio soltanto, con gemiti e lamenti, perché Egli è Colui che vede nei nostri cuori. E così lei che non voleva essere difesa dalle sue stesse parole fu difesa dal giudizio divino, perché Dio le fu testimone della coscienza innocente che lei portava e mentre stava per essere condotta al castigo, Egli rivelò la sua innocenza.
Non è privo di interesse il fatto che la tentazione di Susanna abbia luogo in un giardino (paradeiso). Infatti, a differenza della traduzione dei Settanta, la versione di Teodozio pose anche tutto il processo nello stesso posto, cioè nel “luogo del delitto”. Essendo il luogo della tentazione di Susanna, della falsa accusa e della vendetta finale, questo “paradiso danielico”, scrisse Ippolito, deve essere in contrasto con il giardino di Genesi 3, dove Eva fu tentata, giustamente accusata e, infine, bandita: «Come in passato il diavolo si celò dietro al serpente nel giardino, così ora era nascosto nei due anziani, che egli suscitò con la sua lussuria, di modo che potesse ancora una volta, sedurre Eva».
Il Libro di Daniele abbonda, naturalmente, di casi di accuse mosse contro i servi di Dio, seguite dalla loro liberazione divina, e in questo senso il racconto di Susanna si inserisce certamente in questo modello. Girolamo attirò l’attenzione soprattutto alla somiglianza con i tre giovani condannati alla fornace ardente. Nella catacomba di Santa Priscilla a Roma, Susanna appare vicino ad un affresco di Daniele nella fossa dei leoni.
Di tutti i personaggi nella Sacra Scrittura, però, era inevitabile che Susanna sarebbe stata più paragonato a Giuseppe, nell’episodio della moglie di Potifar. In effetti, la somiglianza tra le due situazioni è notevole: Giuseppe e Susanna resistono entrambi agli attacchi contro la loro castità, entrambi sono accusati ingiustamente da coloro che li desiderarono, entrambi restarono in silenzio nel momento delle accuse, entrambi furono condannati in un paese straniero, e infine entrambi furono vendicati da un intervento provvidenziale. Non c’è da stupirsi che i lettori cristiani (Origene, Atanasio, Didimo, Ambrogio, ed altri) più volte li misero a confronto, sia rispetto alla loro castità gravemente tentata, sia al loro essere accusati e condannati falsamente dai loro tentatori, sia al loro paziente silenzio quando al momento dell’accusa.
Tipo di Gesù e della Chiesa
Ma se Susanna deve essere paragonata a Giuseppe, ingiustamente accusato, quanto più dovrà essere accostata a Gesù nel contesto della sua passione? Sia Gesù che Susanna sono stati traditi in un giardino, osserva Massimo di Torino, una circostanza che indurrà un ulteriore confronto tra i due anziani lussuriosi e Giuda Iscariota. Susanna, provata e ingiustamente accusata, diventa dunque un “tipo” del Signore nella sua passione salvifica. Girolamo e Eric di Auxerre osservarono che Susanna e Gesù sono simili nel loro essere malignamente accusati da falsi testimoni. Altri scrittori osservarono che entrambi rimasero similmente in silenzio quando incriminati. Girolamo, per esempio, quando lesse del clamoroso clamore sollevato per l’esecuzione di Susanna, pensò immediatamente ak grido “Crocifiggilo!” pronunciato contro il Signore, il Venerdì Santo.
Il confronto di questi due processi penali orditi ai danni di Gesù e di Susanna portano inevitabilmente ad un contrasto tra le sentenze radicalmente diverse di Daniele e Ponzio Pilato. Esiste una notevole somiglianza tra la storia di Susanna e Matteo e cioè che sia Daniele che Ponzio Pilato credettero che il rispettivo processo finisse in un aborto della giustizia, ed entrambi affermarono di essere “innocenti del sangue” che stava per essere sparso. Eppure, come sono diversi i due casi! Susanna è stata salvata dalla folla grazie al coraggio di Daniele, mentre Gesù è stato consegnato alla folla dalla codardia di Pilato.
Anche prima di essere paragonata a Gesù, tuttavia, Susanna era percepita come un simbolo della Chiesa. In effetti, questa linea di interpretazione si trova già nel nostro primo commento completo sul libro di Daniele, quello di Ippolito di Roma risalente agli inizi del III secolo: «Ci è possibile capire il vero significato di tutto ciò che successe a Susanna, perché tutte queste cose possono essere trovate realizzate nell’attuale condizione della Chiesa».
Per Ippolito tutta la storia di Susanna è particolarmente ricca di un profondo simbolismo mistico che ha a che fare con l’unione del Signore con la Sua Chiesa: «Susanna prefigurava la Chiesa, e il marito Gioacchino, Cristo; e il giardino, l’assemblea dei santi, che sono piantati nella Chiesa come alberi carichi di frutti».
Allo stesso modo, Ippolito trova riferimenti ai sacramenti della Chiesa nei dettagli di questo racconto. Per Ippolito, il bagno di Susanna nel giardino richiama chiaramente il battesimo, in cui la Chiesa «si lavò per poter essere presentata come una sposa pura a Dio». Per quanto riguarda le due ancelle di Susanna, queste rappresentano la fede e l’amore; Ippolito spiega: «Infatti è grazie alla fede in Cristo e all’amore per Dio che la Chiesa confessa e riceve il lavacro». Poi dice ancora che la storia di Susanna esorta i cristiani a seguire «la verità e a mirare all’esattezza delle fede». E gli unguenti che Susanna chiede alle sue ancelle? Ovviamente questi sono «i comandamenti del santo Verbo». L’olio, naturalmente, si riferisce al sacramento della cresima:
E cos’era l’olio se non la potenza dello Spirito Santo, con cui i credenti sono unti dopo il lavacro. Per il nostro bene tutte queste cose sono state rappresentate in senso figurato nella benedetta Susanna, di modo che noi che crediamo in Dio non trovassimo strane le cose che si fanno nella Chiesa, ma credessimo che esse fossero state prefigurate dai patriarchi del passato.
Sempre proseguendo in questo simbolismo, Ippolito ricorda che l’intera storia si svolge a Babilonia, simbolo di esilio nel mondo, in cui la Chiesa è perseguitata da due gruppi di nemici simboleggiati dai due anziani malvagi. Questi nemici della Chiesa sono gli ebrei e i pagani. «Schiavi del principe di questo mondo», questi due cercano sempre di portare afflizioni alla Chiesa, «anche se in disaccordo gli uni con gli altri». Ahimè, Ippolito va avanti, la Chiesa è altrettanto perseguitata da coloro che sono cristiani dii nome soltanto.
A seguito di tale ultimo rilievo, ma con un interesse meno allegorico e più strettamente morale, altri cristiani hanno trovato lezioni un po’ diverse da trarre dall’esempio negativo di questi due anziani corrotti, o “presbiteri”. Così, nei primi riferimenti cristiani alla storia di Susanna, Ireneo di Lione li rese tipi dei pastori cattivi ed egocentrici. Infatti, i riferimenti a questi due anziani più di una volta ha portato Gregorio il Teologo a fare osservazioni critiche sul presbiteri malvagi nella Chiesa. Didimo di Alessandria li definì “pseudo-presbiteri”.
I cristiani presero inoltre atto dell’avventata azione della folla, criticata da Daniele per essere così pronta a condannare una donna innocente. Ciò è stato sempre presente nella Chiesa, in particolare nei suoi procedimenti canonici, come fosse un avvertimento contro le sentenze affrettate, una lezione che sembra aver lasciato un segno particolare tra i cristiani di Siria ed Egitto.
Daniele, l’eroe giovane
Nel processo della casta Susanna, l’eroe del momento fu, naturalmente, Daniele. Il dramma della comparsa improvvisa di questo giovane è messa in ombra nella tradizione occidentale o latina, in cui la storia Susanna forma il capitolo 13 del libro di Daniele, una posizione che sembra un po’ un’appendice al libro. Molto più efficace come dramma è, certamente, la disposizione strutturale nel testo tradizionale greco, in cui la storia di Susanna si trova proprio all’inizio. Così, nella sequenza nota ai cristiani ortodossi, il primo momento in cui conosciamo il personaggio di Daniele nella Bibbia, è quando, con la sua voce ancora acerba, grida improvvisamente: “Io sono innocente del sangue di questa donna!” Vale a dire che il lettore sente Daniele, e piuttosto ad alta voce, prima di visualizzarlo. La prima forma di Daniele, per così dire, è quella di una sorprendente voce profetica di appello contro l’ingiustizia. Così, un uomo giovanissimo come lui viene accostato a figure come quelle di Elia, Amos, Isaia e Geremia.
Ambrogio ha paragonato la saggezza di Daniele in questa scena a quella del Gesù dodicenne tra i dottori del Tempio, come descritto in Luca 2. Cirillo di Gerusalemme ritenne evidente la precocità spirituale di Daniele nel processo di Susanna e Ambrogio lo paragonò ai profeti Samuele e Geremia, i quali furono entrambi chiamati in età precoce.
La prescienza di Dio
Si dà il caso che il contributo più importante di Susanna alla storia della teologia si trova in quella linea della sua preghiera dove dice a Dio: “O Dio eterno, Tu che leggi i segreti e che conosci ogni cosa prima che essa avvenga”. Questa è l’espressione più chiara nell’Antico Testamento della conoscenza di Dio di eventi futuri, eventi che non si sono ancora verificati e che sono, di fatto, condizionati dal libero arbitrio degli uomini che agiscono nella storia. E’ il mistero della prescienza di Dio di cose che non esistono ancora. Susanna invoca Dio con un aggettivo essenzialmente legato alla sua capacità di conoscere il futuro: Dio è “eterno”. Egli ha, infatti, un’unica esistenza, sia prima che dopo il tempo; è uno “di eternità in eternità” (testo in lingua greca del Salmo 89:2). Come Dio abbraccia tutti i tempi nella sua eternità, così la sua conoscenza delle cose non è subordinata a futuri eventi storici, tale da rendere dubbia questa conoscenza. Egli abbraccia la storia, la sua maestosa libertà non è in alcun modo attenuata dalla libertà degli esseri umani che fanno scelte all’interno dello scorrere della Storia. Egli è il canale eterno, il letto stesso in cui questo stesso fluire si realizza.
E’ a questo eterno Dio, allora, che la casta Susanna rimette il suo destino, perché nella sua eternità Egli conosce tutte le cose, anche “prima del loro accadere.” Questa espressione della fedele Susanna – anche “prima del loro accadere” – apparirà più volte nella letteratura cristiana. Ogni volta che la Chiesa cercò di dare espressione alla propria fede nella prescienza di Dio rispetto alla storia, fece sempre fatto ricorso alla preghiera di Susanna. Questa riga della preghiera fu citata anche dai Padri della Chiesa che non fecero alcun altro riferimento alla storia Susanna. Partendo dalla Liturgia di san Giacomo, troviamo citazioni di questa parte e chiari riferimenti ad essa nelle tradizioni patristiche egiziana, siriana, palestinese, cappadoce, bizantina, africana, italiana o gallica.
Al termine di questa breve panoramica di ciò che la storia di Susanna ha significato per i lettori cristiani dei primissimi tempi, ci si sente forse giustificati a porsi domande sul risultato che ebbe la rimozione dalla Bibbia, da parte di Lutero, di questa storia, a dispetto del fatto che fosse contenuta in tutti i manoscritti del libro di Daniele, senza eccezione alcuna, in tutta la storia cristiana. Me lo chiedo anch’io, ma non mi aspetto una risposta. Sappiamo ciò che è stato perduto con l’eccentrica decisione di Lutero. È meno chiaro che cosa, da questa stessa decisione, si sia guadagnato.
Patrick Henry Reardon *
*Patrick Henry Reardon è pastore della chiesa antiochena ortodossa di Tutti i Santi di Chicago, Illinois. E’ inoltre editore di “Touchstone: a journal of mere Christianity”. Cura anche una rubrica fissa per la rivista AGAIN. Una versione più ampia e documentata di questo articolo è apparsa in nella rivista “Touchstone”.
tradotto da: Orthodox Study Bible