Il brano che segue è tratto dal n. 54 della rivista “In Communion”. “In Communion” è un’interessante rivista trimestrale pubblicata dall’ Orthodox Peace Fellowship (OPF), un’associazione di cristiani ortodossi appartenenti a diverse nazioni e giurisdizioni che cercano di vivere la pace di Cristo nella loro vita quotidiana, incluse le situazioni di divisione e di conflitto. Sul proprio sito l’associazione offre una serie di risorse per fedeli e parrocchie. Per maggiori informazioni su OPF cliccare qui (inglese)
Molti pensano ad Adamo ed Eva da quella prospettiva che domina nei dibatti sull’età dell’universo e l’origine degli esseri umani. I Padri della Chiesa e la liturgia hanno un punto di partenza completamente diverso, più in termini di Cristologia che di cosmologia. La Chiesa raramente menziona Adamo senza parlare di Cristo, cosicché reputiamo il “vecchio Adamo” o il “primo Adamo”, in termini del “Nuovo Adamo”. Questo orientamento di pensiero a proposito di Adamo ci aiuta a comprendere la nostra vita in qualità di cristiani battezzati, esseri umani che sono sia caduti che risollevati, deformati e rinnovati, morenti pur tuttavia redenti dalla morte. Nel nostro battesimo e nella nostra vita sacramentale, noi siamo morti al Vecchio Adamo e abbiamo indossato il Nuovo Adamo – pur tuttavia, in un qualche maniera, partecipiamo ad entrambi. I nostri interrogativi cosmologici forse rimarranno ma riceveranno una nuova prospettiva dalla visione che la Chiesa ha di Adamo. Interroghiamo umilmente Dio e la sua Chiesa a proposito di Adamo e vediamo cosa scopriamo.
Nella Genesi, ascoltiamo Dio chiamare la sua creatura, Adamo, che ha appena disobbedito all’ordine divino e si è nascosto: “Adamo, dove sei?”
Ci potremmo anche domandare, con amore e in uno spirito di santa ricerca, “Adamo, dove sei?” E forse “Adamo, chi sei?” “Adamo, cosa sei?”
“Adamo, dove sei? Ti sei nascosto da Dio, colmo di vergogna, ma ti sei anche occultato alla nostra vista. Se lì all’inizio delle Scritture e alla fine, ma mai nel mezzo.
“Adamo, dove sei? Il tuo nome in ebraico vuol dire sia ‘umanità’ che ‘della terra’. Sei ‘uomo’ in generale, o una singola persona? O entrambi? O forse sei me e io sono te, quando disubbidisco all’ordine di Dio nella mia propria vita? O forse sei tutte queste cose, e forse anche più di tutte queste? Adamo, puoi dirci qualcosa di noi stessi, della nostra vita in questo mondo? Le Scritture divinamente ispirate, infatti, ci hanno certamente parlato di te così che tu potessi insegnarci qualcosa sullo scopo di Dio”.
San Silvano del Monte Athos rivolge ad Adamo, parole molto più belle di queste. In una meditazione profondamente commovente, egli vede Adamo all’inizio lamentarsi con dolore della perdita della sua vicinanza con Dio e poi, completamente rapito nella gioia nel Signore che gli ha donato un Paradiso ancora più grande in comunione con la Santa Trinità.
O Adamo, cantaci un canto celeste
sì che la terra intera possa ascoltarlo,
deliziandosi della pace d’amore verso Dio.
Nello scritto di San Silvano, abbiamo un indizio importante di chi e cosa Adamo fosse nel vecchio paradiso: era in uno stato di dolcezza e gioia, mentre contemplava Dio. Ma non era perfetto. Non era ancora in uno stato dell’uomo pienamente redento, deificato e immortale in quel “miglior Paradiso” datoci da Cristo per mezzo della sua croce.
E’ importante ricordare che l’Adamo incontrato nel libro della Genesi non è l’icona dell’umanità perfetta. Insieme a Eva, egli era “nudo e senza vergogna”, ma non erano né perfetti né immortali. Come dice la Divina Liturgia di San Basilio il Grande, Dio pose la sua creatura umana in Paradiso con la promessa dell’immortalità. Adamo ed Eva erano esseri umano in fieri. Erano opere in corso.
Questa è la convinzione di parecchi Padri della Chiesa, inclusi Sant’Ireneo di Lione, San Gregorio Nazianzeno e Sant’Efrem il Siro. L’albero proibito nel Paradiso non era il male in se stesso ed era stato concepito per gli esseri umani. Tuttavia era stato concepito per essere mangato al momento giusto e secondo la giusta disposizione. La tragedia di Adamo ed Eva fu di mangiarne quando erano ancora bambini – innocenti e immaturi.
La storia biblica ci mostra che Adamo ed Eva non erano persone umane perfettamente complete. Infatti, cos’è che fece sì che Eva ascoltasse la voce del serpente? Questa non è perfezione. Parliamo della “libertà” donata da Dio ma la loro libertà di dimenticare Dio non è la libertà genuina della persona umana deificata. La vera libertà è la libertà in Dio, la libertà di fare il bene, non la libertà di ascoltare a questo patetico serpente.
Adamo ed Eva erano creature che serbavano in loro un potenziale, sulla strada della perfezione pienamente realizzata. Essi – noi – furono creati per la vita, non per la morte – per la vita in unione con Dio. Ma essi non la raggiungono. E anche Adamo, nella mente dei Padri, e negli inni liturgici, non rappresenta mai l’uomo regale e deificato ma l’uomo caduto. Quando gli inni parlano di “Adamo” intendono l'”umanità caduta”. Quasi ogni festa di Cristo ci ricorda questo. Nella festa della Trasfigurazione, per esempio, cantiamo:
Tu fosti trasfigurato, o Cristo,
e facesti risplendere di nuovo l’immagine oscurata di Adamo come luminosa,
trasformandola nella gloria e nello splendore della Tua divinità.
Qui non stiamo parlando di un antico uomo storicamente vissuto di nome Adamo. Se Cristo è venuto soltanto a innalzare una singola persona, ciò non avrebbe certo l’effetto di ridisegnare l’intero cosmo. Cristo viene a innalzare l’umanità caduta. Viene a innalzare noi. َ
Ciò ci porta non solo alla domanda “chi è Adamo” ma “chi siamo noi?”. Se Adamo è l’umanità caduta, e Adamo siamo noi, siamo dunque noi l’umanità caduta? Sì, lo siamo. Ma non siamo forse un’umanità rinnovata in Cristo? Sì, lo siamo. Siamo entrambi, e dobbiamo scegliere tra l’orientarci in Cristo od orientarci in Adamo. Come cantiamo nei Mattutini del Sabato Santo:
Tu discendesti nelle profondità della terra per colmare tutto della Tua gloria;
la mia persona che è in Adamo non era celata a Te.
E quando Tu fosti seppellito,
rinnovasti me che ero corrotto, o Amante degli uomini.
Così, posso considerare la “mia persona che è in Adamo” e al contempo conosco la mia persona che è in Cristo. Sono entrambi. Ritorniamo così al paradosso con il quale abbiamo cominciato. Siamo battezzati in Cristo e in principio morti ad Adamo – cioè, all’umanità caduta – e pur tuttavia pecchiamo. E ogni nostro singolo peccato ci rivela che viviamo ancora in Adamo.
Questo è un altro tema caro ai Padri della Chiesa e alla nostra innografia: Adamo è noi, in quanto “umanità caduta,” ma anche noi siamo Adamo. Siamo creature dotate di potenziale che costantemente ripetono e perpetuano il peccato nel giardino. Ogni cosa che è stata riportata nel giardino del paradiso, a proposito del peccato di Adamo, riguarda noi e il nostro peccato. “Conobbi la mia nudità e mi coprii di un indumento di pelle, e caddi dal giardino” (S. Gregorio Nazianzeno, Orazione 19.14). “La debolezza del mio avo è la mia” (Or. 38.12). “Ci è stato affidato il Paradiso così che potessimo godere la vita. Abbiamo ricevuto il comandamento così che potessimo ottenere una buona reputazione osservandolo… Fummo ingannati perché eravamo oggetto di invidia. Fummo scacciati perché trasgredimmo. Digiunammo perché ci rifiutammo di farlo, essendo sopraffatti dall’albero della conoscenza” (Or. 45.28)
Chi è il soggetto di questa triste storia? E’, ancora una volta, non l’antico Adamo storico. Siamo noi. La vigilia di Quaresima, cantiamo:
Tempo fa l’astuto serpente invidiò il mio onore
e sussurrò falsità nell’orecchio di Eva.
Me tapino! Fui sviato
e bandito dalla danza della vita.
E così, Adamo è il nostro antenato. Ma la domanda successiva è: è nostro antenato nel senso spirituale del termine, in senso morale, o in senso genealogico? In altre parole, possiamo dire di essere discesi da Adamo, nelle stesso modo in cui sono disceso da una lina particolare di parenti, nonni e bisnonni? Genealogicamente e geneticamente? Questa è una domanda ulteriore a cui ci troviamo a dover rispondere, specialmente alla luce delle nuove prospettive che ci provengono dal campo della storia e della scienza.
“Adamo, dove sei: nel nostro passato storico? Forse che ti trovi nello stesso piano storico come Winston Churchill, Leonardo Da Vinci e Platone?” Su che basi possiamo approcciare questa domanda? A chi possiamo porla? Possiamo guardare ai Padri? Erano questi ultimi minimamente preoccupati della “storicità” così come lo siamo noi nell’era post-darwiniana?
Infatti, alcuni Padri si interessarono alla domanda. Ci furono alcuni che risposero in maniera molto letterale, come Teofilo di Antiochia, che fornì una data storica epr la creazione del mondo e di Adamo (a tutt’oggi, ci sono coloro che affermano, per essere in armonia con le genealogie della Scrittura, che l’universo fu creato tra 5000 e 10000 anni fa. Sant’Agostino notò che se dovessiamo prendere letteralmente tutte le cronologie nella Genesi, Matusalemme dovrebbe essere presente nell’arca di Noè!)
Altri Padri erano molto più aperti rispetto alla storia del Paradiso e ciò che abbia potuto rappresentare. Probabilmente il migliore esempio di questo spirito d’indagine aperto fu San Gregorio il Teologo, che scrive che Dio pose la persona umana in Paradiso, “qualunque cosa ciò possa significare”. Specula sul fatto che l’albero della conoscenza possa rappresentare la theoria, o contemplazione di Dio. Vede la storia del Paradiso aperta a più di un’interpretazione. San Gregorio fa sua la visione di Origene Alessandrino secondo cui il Paradiso descritto nella Genesi non risiedeva nel nostro spazio-tempo storico:
Chi sarà così ingenuo da credere che, come un contadino, “Dio piantò alberi nel giardino dell’Eden, ad est” e che piantò l’ “albero della vita” in esso, ciò un albero visibile e tangibile, così che qualcuno potesse mangiarne con dei denti corporali e ottenere la vita, e ancora, potesse mangiare di un altro albero e ricevere la conoscenza del “bene e del male”? […] Queste sono espressioni figurative che indicano certi misteri attraverso una sembianza di storia e non attraverso eventi concreti [De Principiis 4.3.1. Il passaggio citato qui fa parte della Filocalia di Origene, un’antologia di testi di Origene compilata da San Basilio il Grande e Gregorio il Teologo]
Alcuni Padri si interessarono alla questione del se Adamo ed Eva e il Paradiso siano esistiti nello stesso modo in cui, per noi, Hyde Park – e quelli che ci passeggiano – esistono a Londra. Essi risposero a questo interrogativo in diversi modi. Molto probabilmente credettero che Adamo sia esistito come personaggio storico piuttosto che in un regno mitico, perché non avevano nessuna ragione scientifica per non credere ciò. Tuttavia, nessuna delle loro conclusioni teologiche su Adamo e su ciò che gli rappresenti richiede che Adamo debba necessariamente esser vissuto come un particolare uomo storico.
Il teologo ortodosso Jean-Claude Larchet propone due categorie di storia, od ordini temporali. Egli afferma che la storia cronologica che noi cerchiamo di documentare scientificamente è già storia dell’umanità caduta. La nostra storia esiste su un piano differente dalla “storia spirituale” descritta dalla Genesi:
La condizione originale dell’uomo così come è rappresentata nelle Scritture e nei Padri è situata in un ordine temporale diverso da quello della conoscenza storica: non appartiene al tempo delle realtà sensibili (chronos), ma alla durata delle realtà spirituali (aiôn), che elude la scienza storica perché appartiene alla sfera della storia spirituale. [Theology of Illness, St. Vladimir’s Seminary Press, p. 23 n. 51
Il modello di Larchet ci aiuta a comprendere meglio la scienza moderna pur mantenendo intatta l’integrità della storia scritturale.
Potremmo concludere che Adamo è nostro antenato nel senso che rappresenta ciò da cui noi proveniamo, rappresentando un fallimento di potenziale, rappresentando noi ogniqualvolta che ripetiamo tale fallimento, rappresentando il Vecchio Uomo che abbiamo svestito nel battesimo a favore dell’Uomo Nuovo Gesù Cristo. E’ anche il nostro antenato nel senso che mostra che ci fu un inizio al peccato e alla morte. Morte e peccato non sono realtà eterne. Essi sono cominciati, e si sono diffusi verso tutti.
Dal momento che “Adamo” significa “uomo caduto”, egli è raramente menzionato nei nostri inni separatamente da Cristo – il quale, vestendo la carne di Adamo (=umanità, =noi), restaura Adamo, ripristinando l’immagine divina, riportando l’umanità caduta al luogo per cui è stata sempre pensata: l’unione con Dio stesso. Cristo, dunque, è il Nuovo Adamo, il Secondo Adamo.
A parte rappresentare il “Vecchio Uomo”, Adamo è anche la prefigurazione di Cristo. Nel linguaggio teologico e scritturale, Adamo è un “tipo” di Cristo. Nella lettera ai Romani, San Paolo già chiama Adamo “un tipo (figura) di colui che deve venire” (typos tou mellontos). Adamo è il “locum tenens” di Cristo. Ad Adamo/l’umanità è stata data la vocazione per essere una vera persona – ed egli ha fallito in ogni rispetto. E’ Cristo – essendo Parola di Dio (il Profeta), il vivo sacrificio (il Sacerdote), e il Re della gloria – che realizza pienamente la vocazione umana.
Invero, così come molti Padri affermano, si può vedere Adamo come “tipo” di Cristo o, più propriamente, si può vedere Adamo come fatti a immagine di Cristo – persino, in una prospettiva eterna, a immagine del Cristo crocifisso. Come San Nicolas Cabasilas scrisse:
Non è il vecchio Adamo che fu il modello per il nuovo, bensì il nuovo Adamo per il vecchio […] Per coloro che l’hanno conosciuto per primi, il vecchio Adamo è l’archetipo a causa della nostra natura caduta. Ma per lui che conosce ogni cosa prima che essa esista, il primo Adamo è l’imitazione del secondo [The Life in Christ 6.91-94.]
Come afferma Sant’Ireneo,”è necessario che colui che sarebbe stato salvato [Adamo] dovesse anche venire all’esistenza, affinché Colui che salva non dovesse esiste in vano” [Adv. Haer. 3.22.3]
Tutto questo fa parte della ricca tradizione della Chiesa riguardo alla tipologia, che probabilmente riconosciamo dall’innografia della Chiesa. Adamo è un tipo per Cristo, Eva un tipo per Maria. L’albero in Paradiso è un tipo per l’albero della croce, e il paradiso stesso è un tipo per la Chiesa che è il Regno di Dio in terra. Infatti, i Padri non lasciano inesplorato quasi alcun elemento del Vecchio Testamento in quanto a potenziale tipologico. Le mani aperte di Mosé sono un tipo del Cristo crocifisso. Cristo stesso, nei vangeli, dice ripetutamente ai suoi discepoli che ciò che è stato scritto nelle Scritture, cioè nel Vecchio Testamento, è stato scritto su di lui. “Mosé scrisse di me”, dice il Signore in Giovanni 5:46 e in Luca 24. Cristo spiega ai suoi discepoli che l’interno Vecchio Testamento riguarda lui.
Questo è illustrato da un meraviglioso atto liturgico. Durante la Quaresima, nella liturgia dei Presantificati, leggiamo dal Vecchio Testamento, cominciando dalla Genesi: la creazione del mondo in sei giorni, la storia di Adamo ed Eva nel giardino. E solo dopo aver letto, ci prostriamo a terra, faccia al pavimento, mentre il celebrante esce dal santuario con una candela posta su un vangelo, proclamando: “La luce di Cristo illumina tutto”. Davvero, la luce di Cristo illumina tutto ciò che è detto nel Vecchio Testamento.
E così Adamo, che rappresenta l’uomo caduto, rappresenta un tipo o la prefigurazione del Nuovo Adamo, Cristo. San Gregorio il Teologo crea un parallelo poetico tra i due, mettendo in contrasto le mani di Cristo – generosamente allargate e fissate da chiodi – alla mano di Adamo, allungata in atto di una autoindulgenza senza freni. Cristo è innalzato (sulla Croce) per rovesciare la caduta verso il basso di Adamo. Cristo ingerisce aceto al posto del frutto di Adamo. Cristo muore per la morte di Adamo, ed è innalzato così che Adamo potesse essere innalzato. Egli dice, anche:
Tutti noi […] partecipiamo allo stesso Adamo, siamo sviati dal serpente, uccisi dal peccato e salvati dall’Adamo celeste e riportati per mezzo dell’albero [della Croce] all’albero della vita dal quale eravamo caduti [Orazione 33.9]
Ciò ci riporta al paradosso della nostra vita nel mondo, al contempo caduta e redenta, redenta e caduta. Rivisitiamo questo paradosso alla luce del Vecchio e del Nuovo Adamo.
Guardiamo a ciò che è praticamente l’ultima menzione di Adamo nel Vecchio Testamento, in Genese capitolo 5, prendendo dalla traduzione greca dei Settanta:
Questo è il libro dell’origine degli esseri umani. Nel giorno in cui Dio fece Adamo, lo fece secondo l’immagine divina; maschio e femmina li fece, e li benedisse. E li chiamò “Adamo” nel giorno in cui li fece. Ora Adamo visse duecentotrent’anni e divenne padre, secondo la sua forma e la sua immagine, e chiamò suo figlio Seth. E i giorni di Adamo, dopo che divenne padre di Seth, ammontarono a settecento, ed ebbe figli e figlie. E tutti i giorni di Adamo che egli visse ammontarono a novecentotrent’anni e poi morì.
Dio fa “Adamo” – significando l’umanità, maschio e femmina – a sua immagine. E poi, Adamo, essendo caduto, ha un figlio secondo la sua immagine. Ciò che segue in questo capito è una lunga genealogia che porta a Noè, che vive in un’epoca di violenza e depravazione. Ciò ci mostra cos’è “la caduta”: gli esseri umani, creati ad immagine divina, sono ora ad immagine di Adamo. Dio non è andato via, tantomeno la sua immagine in noi, ma ora ogni persona che nasce, è nell’immagine di Adamo così come in quella di Dio.
Conosciamo ciò che segue. Gesù Cristo, l’immagine vivente di Dio, è nato nella storia. Il pre-eterno Figlio del Dio vivente, è nato da una donna, una vergine – nata ella stessa a immagine di Adamo, ed egli vive una vita pienamente umana. E’ questo Gesù, questo Nuovo Adamo, pienamente divino e pienamente umano, che ripristina l’immagine di Dio. E così, ora noi possiamo vivere in Cristo, possiamo morire in Cristo, ed essere innalzati in Cristo.
Il paradosso rimane, ma è interamente ridefinito. La vita e la morte sono trasfigurate da Dio, nella vita e nella morte di suo Figlio. L’immagine divina è ripristinata al suo splendore, e quella immagine, o icona, è Gesù Cristo, il Nuovo Adamo. Ma come ogni dimensione della nostra vita nel mondo come cristiani nella Chiesa, questa restaurazione è sia un dono che una chiamata.
Il nostro battesimo è la nostra morte. Da quel punto in poi siamo vivi in Cristo, nella Chiesa, attraverso i sacramenti. La morte, che continua a legarci biologicamente, non ci definisce più spiritualmente. Questo è un dono, donato a noi pienamente. E’ anche la nostra chiamata a cui rispondere, in ogni momento della nostra vita. In ogni momento possiamo scegliere di vivere nel Vecchio Adamo – cedere alla chiamata del serpente e perseguire una deificazione senza la croce – o vivere nel Nuovo Adamo, prendere la croce e seguire Cristo.
La nostra chiamata, “Adamo, dove sei?” ora cede finalmente il passo alla costante ricerca del Nuovo Adamo, il costante appellarsi a lui per mezzo del suo santo nome: “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi misericordia di me peccatore”.
La nostra esistenza paradossale come persone cadute tuttavia redente è ora occupata dal compito di riorientare costantemente la nostra prospettiva, puntare su Cristo, la vera immagine di Dio. Questo è ciò che dobbiamo fare dentro e per mezzo della Chiesa, il Corpo di Cristo. Questo è il senso dell’ascetismo, della nostra chiamata universale: la ridirezione della nostra intera persona, della mente, del corpo e dell’anima. Vivendo in Cristo, noi continuiamo a soffrire, continuiamo a essere tentati, continuiamo a peccare. Ma tutto questo è decisivamente superato, cambiato.
Ma questo non è l’unico messaggio del vangelo. L’altro, vitale messaggio che Dio ci dà nel Nuovo Adamo è che egli ci ama oltre misura. Egli ci dà tutto. Ed egli conosce la nostra sofferenza in questa vita di paradosso, perché egli entra in essa. Non è un semplice osservatore passivo. No, egli conosce il nostro dolore, e ne fa esperienza nella sua dimensione più piena.
Con il nostro sguardo fisso sul Nuovo Adamo, nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, diciamo a gran voce, con tutta la nostra fede e la nostra gioia: Cristo è risorto!
Peter Bouteneff *
“In Communion”, n.54
❖ ❖ ❖ ❖
* Peter Bouteneff insegna teologia dogmatica, patristica e spiritualità al St. Vladimir’s Seminary. Ha un dottorato dell’Università di Oxford, dove ha studiato con il Metropolita Kallistos Ware di Dioclea. Questa è una breve versione di un paper letto nel maggio scorso alla 13° Congresso Ortodosso dell’Europa occidentale, tenutosi ad Amiens, Francia. E’ autore di Beginnings: Ancient Christian Readings of the Biblical Creation Narratives (Baker Academic, 2008)